Dal Giappone al Piemonte in un connubio di sapori artigianali, culture e sapori. Prende vita da questa commistione Nero, il primo sakè italiano al mondo che nasce dalle risaie vercellesi e dai luoghi della miscelazione torinese. Infatti, alla base del primo sakè italiano c’è proprio il concetto di “miscelare”: questo perché il particolare liquore nasce dalla miscelazione di acque, territori e culture. Nello specifico, le risorse idriche sono quelle del Canale Cavour che, grazie ad una rete capillare, porta il flusso di tre fiumi alle risaie. Le culture sono quella vercellese e quella giapponese entrambe accumunate dalla coltivazione del riso. I territori, invece, sono quello di Vercelli e di Torino perché il riso viene lavorato con le stesse tecniche del vermouth, liquore tipico torinese.
La preparazione del primo sakè italiano prende, però, soltanto ispirazione da quella orientale. Infatti, una prima differenza la si trova, ad esempio, nella colorazione. Mentre il sakè italiano viene realizzato partendo dal riso Penelope, prodotto dall’azienda vercellese gliAironi, una tipologia di riso integrale e pigmentato, ovvero completo di pericarpo, elemento che conferisce alla bevanda un tipico colore nero, aspetto che i giapponesi preferiscono eliminare. Inoltre, questa varietà di riso vanta una profumazione fruttata ed un gusto intenso che vengono trasmessi fino al prodotto finale. Una volta raccolto, il Penelope passa in lavorazione nei locali di In Fermento, l’azienda che i due titolari de gliAironi hanno creato insieme a Davide Pinto, proprietario del cocktail bar Affini di Torino, e Luca Bogino e Manuel Montalbano di evHo, scuola di mixology anch’essa con sede nel capoluogo piemontese. A questo punto avviene il processo di fermentazione, nel quale possiamo riscontrare altre divergenze con la tradizione nipponica. Se infatti nel sakè tradizionale la fermentazione avviene grazie al koji, un fungo necessario per la lievitazione, nel Nero avviene grazie ai lieviti della birra, un omaggio agli storici birrifici piemontesi che, a inizio ‘900, hanno fatto di Torino una delle capitali europee di questa bevanda.
Dopo più di un mese di fermentazione si ottiene un liquido che tramite fortificazione, cioè l’incremento del grado alcolico, passa da un volume alcolico del 12% al 17%. A questo punto, entra in scena un’altra contaminazione piemontese. Per l’aromatizzazione, infatti, vengono messe in infusione le principali erbe botaniche e spezie come l’artemisia e l’achillea proprie della lavorazione del vermouth. Per le sue caratteristiche, i profumi e gli aromi, Nero è perfetto nella miscelazione e, in particolare, nel nuovo trend che vede abbinare alle portate cocktail contenenti gli stessi sapori della ricetta.