L'epidemia di Coronavirus ha messo in luce l'importanza di molti lavoratori, spesso sottovalutati, che sostengono la nostra catena di approvvigionamento alimentare, soprattutto nelle regioni del Nord Italia.
Non è in dubbio che i veri eroi di questa situazione inimmaginabile fino a poche settimane fa siano gli operatori sanitari, ma non possiamo dimenticarci di ringraziare altre categorie di lavoratori che rischiano la loro salute per permetterci di avere frigo e dispensa pieni. La notizia di una cassiera di 48 anni morta a Brescia, ci ha infatti ricordato il rischio che queste persone stanno correndo solo per garantire che gli scaffali dei supermercati siano completamente riforniti.
In Lombardia, epicentro dell'epidemia di Coronavirus e regione che ha avuto il maggior numero di vittime in Italia, lo stato di emergenza è iniziato prima rispetto ad altre zone d'Italia.
Inevitabilmente stiamo in fila per almeno 30 minuti, se tutto va bene, prima di poter entrare e in quell'attesa viviamo una situazione surreale: in piedi a due metri di distanza gli uni dagli altri aspettando che la guardia alla porta ci dia il permesso di entrare.
Per alcuni questo è l'unico momento di contatto con il mondo esterno, ma per chi lavora dentro al supermercato è una nuova normalità.
Enrica è impiegata come cassiera per una delle più grandi catene italiane della GDO. In queste settimane, nonostante l'atmosfera surreale, ha continuato a lavorare come sempre, o quasi.
"Dobbiamo lavorare molte più ore del solito perché siamo a corto di personale", ci ha spiegato. "Molti colleghi hanno scelto di rimanere a casa perché potrebbero avere problemi di salute, mentre una buona percentuale è rimasta a casa per paura."
C'è invece chi, come lei, ha deciso di continuare a lavorare. Dagli operai ai trasportatori, fino alle cassiere, è lungo l'elenco di persone che ha evitato il collasso del sistema di approvvigionamento: un meccanismo che abbiamo sempre dato per scontato.
"Ci sono parecchi colleghi che sono a casa in malattia" dice Enrica. "così, quelli come me, che stanno bene, compensano lavorando di più. Ovviamente, in questa situazione, con l'aumentare del pericolo, cresce anche l'allarme delle persone, vale anche per i miei colleghi."
Mentre le catene di supermercati sentono la necessità di far lavorare i loro dipendenti, c'è anche il problema di bilanciare l'assenza di coloro che non possono farlo.
"L'azienda è stata piuttosto comprensiva. Non posso dire esattamente quale sia la situazione di tutti coloro che sono a casa, ma ce ne sono alcuni che non era davvero il caso venissero a lavorare."
Senza contare chi, con le scuole chiuse, ha la necessità di occuparsi dei figli: "Chi ha figli ha potuto chiedere il congedo parentale, pagato o parzialmente pagato a seconda dell'età dei figli."
È un dato di fatto che dopo gli operatori sanitari, medici e infermieri, siano proprio i dipendenti dei supermercati quelli più esposti al virus e purtroppo le misure precauzionali che si riesce a prendere solo quelle basilari: "L'azienda ci ha fornito maschere e disinfettante per le mani. Ci misuriamo la temperatura ogni giorno e se supera i 36,5, è meglio tornare a casa", aggiunge. "Da questa settimana ci sono state fornite barriere in plexiglas in modo da poter mantenere la giusta distanza tra noi colleghi e con i clienti."
In questo periodo di crisi, diversamente da quanto si potrebbe pensare, la comprensione, la compassione e la pazienza non sono sempre evidenti. Lo stress che sta provocando la limitazione della libertà di movimento e la paura di ammalarsi, aumenta il numero di persone incapaci di mantenere la calma.
"Ci sono sempre stati i clienti maleducati e ci sono ancora. C'è chi cerca di approfittare di ogni occasione per saltare la coda, chi fa incetta di prodotti, cose che sono all'ordine del giorno. Arrivo al lavoro alle 8 del mattino e di solito c'è già una coda di 20 o 30 persone pronte per entrare e fare acquisti. Ci sono alcuni clienti che vengono ogni giorno a fare spesa. Non possiamo fare nulla, se non fargli notare che non è quello si dovrebbe fare."
La tensione è alta e a volte sono i lavoratori del supermercato a subirne le conseguenze.
"Alcuni clienti dopo aver fatto la fila per 30 o 40 minuti, se non di più, una volta entrati se la prendono con calma e non capiscono che invece dovrebbero andare spediti, fare la spesa, andare in cassa e pagare più velocemente possibile per ridurre al minimo il rischio di contaminazione", aggiunge.
"Abbiamo dei limiti su oggetti non essenziali, come le piante per la casa, la cartoleria, tutto quello che non è cibo. Alcuni, però, non capiscono, come un insegnante, che ha bisogno di cancelleria, o una madre, che ha bisogno di attrezzature scolastiche per i suoi figli."
"La polizia ci ha dato istruzioni chiare, quindi se i clienti mettono in discussione questa regola devo sconsigliare loro di farlo. Li posso avvisare che c'è il rischio di una multa, ma non posso far altro che questo."
Altra regola rigida impone di fare la spesa da soli, senza familiari, bambini o partner, ma anche in questo caso in molti cercano di ignorarla.
"Alcuni si arrabbiano perché non possono entrare in coppia, così li vedi prendere due carrelli e fingere di essere da soli, riempiono un carrello di casse d'acqua e l'altro di cibo e quando escono, ovviamente, chi è fuori in fila li vede e si arrabbia." Enrica ci ha anche raccontato: "Ieri sera sono tornata a casa alle 22. Chiudiamo il negozio alle 21, ma con la gente in fila fuori, i tempi si allungano di molto."
"È un periodo strano e si vedono cose inaspettate. Oggi, c'era un cliente, che, oltre a una maschera, indossava una cuffia da doccia trasparente. Ho visto persone indossare maschere protettive da giardinieri, sacchi della spazzatura con buchi tagliati per la testa e le braccia, persone vestite come fossero a Chernobyl. Insomma, si vede di tutto."
"Dobbiamo solo essere molto, molto pazienti, come facciamo sempre, ma doppiamente ora. La cosa più importante è tenere le persone al sicuro, e noi stiamo facendo del nostro meglio."