Pasticcieri super star. Una nuova generazione di professionisti sta segnando una nuova era per l’arte dolce italiana. Il 25 settembre 2021, a Lione, la squadra azzurra ha conquistato per la terza volta nella storia la medaglia d’oro alla Coupe du Monde de la Pâtisserie. Sul podio, sono saliti Lorenzo Puca, Andrea Restuccia e Massimo Pica. Ma nella squadra ci sono anche Alessandro Dalmasso, presidente del Club Italia, assieme a Emmanuele Forcone, Francesco Boccia e Fabrizio Donatone (vincitori del titolo mondiale nel 2015 e allenatori).
Da poco è uscito un volume, La tecnica, il gusto e la squadra (Chiriotti Editori), che racconta la grande impresa del nostro team, che ancora una volta è riuscito a portare a casa la vittoria in terra francese. Per parlare di questa importante competizione e del futuro della pasticceria nel Belpaese, abbiamo intervistato Alessandro Dalmasso e Massimo Pica. Li abbiamo incontrati in occasione di Identità Golose 2022: ecco che cosa hanno raccontato a Fine Dining Lovers.
Foto Brambilla Serrani
Che emozione si prova a vincere il titolo di campioni del mondo e che significato ha per voi e per la storia della pasticceria italiana?
Le emozioni sono molteplici e indescrivibili. L’esperienza ha fatto la differenza in questo caso. Abbiamo scritto una pagina storica della pasticceria italiana, perché abbiamo battuto la Francia senza penalità, durante un evento organizzato dai francesi stessi. Come il Bocuse d’Or per la cucina, la Coupe du monde de la Pâtisserie è il concorso internazionale più importante del mondo. Rimarrà un punto di partenza, perché le vittorie devono fungere da stimolo, di consapevolezza e di voglia di fare di più. Dobbiamo fare molta autocritica, non dormiamo sugli allori, ma ripartiamo con la consapevolezza che si possono realizzare veramente delle grandi cose con la visione plurale dei professionisti. Troviamo che la generosità, di tempo e di ricerca, sia importante.
Che cosa ha fatto la differenza nella gara finale?
Un percorso vissuto a monte, dal cosiddetto “sistema Italia”, perché è stato fondato un club per la Coppa del mondo, che supporta la squadra selezionata. Un sistema che prevede la presenza di un team di persone molto grande, costituito non sono solo dai tre che concorrono alla competizione, ma anche da un presidente (Alessandro Dalmasso, ndr), tre allenatori (Emmanuele Forcone, Francesco Boccia e Fabrizio Donatone) che hanno contribuito tantissimo, e poi anche un team di aiutanti, assistenti e aziende che supportano questo club della coppa del mondo e che ci hanno permesso anche di riuscire a fare ricerca e sviluppo ad un certo livello, perché comunque occorrono delle risorse. Ci vorrebbe tantissimo tempo per descrivere la vittoria e il percorso vissuto per la finale di Lione, però sicuramente tutte le fatiche, le ansie e le rinunce agli affetti, al lavoro, alla vita personale di questi due anni di allenamenti, quando Pierre Hermé ha aperto la busta per annunciare la vittoria dell’Italia, si sono trasformate in gioia.
Secondo voi questa vittoria sta segnando un cambiamento nel mondo della pasticceria italiana?
Assolutamente sì, anche se in realtà è tutto il comparto che ne beneficia. All’estero questa competizione viene vista e seguita con un’altra attenzione, perché tutto viene valorizzato: ci sono le attrezzature, le materie prime, la professionalità dei consulenti, quindi sicuramente in questo momento, quando si parla di Italia, si parla di eccellenza. E questo è importante.
Ma forse sta cambiando anche la percezione degli italiani verso la pasticceria, che sta vivendo un momento d’oro pure fuori dalle competizioni…
Di sicuro, queste competizioni, come anche la televisione, stanno portando fuori dal laboratorio i pasticcieri. Così, oltre a stare dentro i laboratori a creare per stupire i propri acquirenti, la figura del pastry chef si sta facendo conoscere all’esterno, sta avendo sempre più rilievo nella società ed è sempre più presente, sia nella filiera produttiva sia nelle relazioni con il cliente finale. Creare un dessert senza condividere i processi che hanno portato alla sua nascita rende vani gli sforzi.
La vostra squadra ci ha dimostrato il contrario per la pasticceria, ma secondo voi perché in Italia storicamente si è sempre puntato poco su concorsi internazionali di cucina come il Bocuse d’Or?
Forse è un passaggio che la cucina deve fare, non lo diciamo per superbia, ma semplicemente perché lo abbiamo affrontato in prima persona questo problema. Il consiglio che ci permettiamo di dare è che, per raccogliere i frutti, bisogna piantare un albero che crescerà e che, diramandosi, donerà dei bei frutti, appunto. Questo significa partire con molta umiltà a creare un gruppo di persone che amino il proprio lavoro in maniera smisurata, che non accentrino i propri saperi, ma anzi li condividano, e soprattutto abbiano un minimo obiettivo, che è quello di far vincere la bandiera italiana. Non è detto che tantissime eccellenze messe insieme nella stessa gabbia diano un numero maggiore: ci deve essere una rete che abbia rispetto reciproco alla base, che rispetti le regole e che possa portare avanti il lavoro. È come la brigata di una grande cucina: non esiste solo chef, ma tutti i suoi membri hanno le proprie passioni e le proprie competenze. Se questo si riesce a trasportare in un concorso, sicuramente la cucina eguaglierà, se non addirittura supererà, la pasticceria.
Voi siete la prova che è possibile conciliare la vita del laboratorio con la vita delle competizioni. Eppure spesso sono viste come due carriere diverse…
Dalmasso: il primo concorso l'ho fatto a 16 anni al Sigep, erano i mondiali juniores. E’ una vita quella che si passa dietro le gare, coniugare con il lavoro in laboratorio diventa veramente facile se hai vicino a te delle persone, non solo ambito lavorativo, ma anche personale, che ti stimolano e ti danno il tempo giusto e la libertà per affrontare tutto quello che dovresti fare. Il tempo che viene richiesto per le gare è tantissimo, certo è che quando sono andato alla finale di Lione nel 2009 avevo l’azienda e a un certo punto capisci che devi avere una stabilità che per un periodo ti permette di alleggerirti (anche se è evidente che non ti puoi staccare completamente, a meno che non decidi di prenderti un anno sabbatico). Diciamo che anche questo è un mix equilibrato di fattori, necessari per affrontare la gara.
Pica: io lavoro in proprio e di sicuro posso dire che conciliare l’attività di laboratorio con la gara non è facile. Mentalmente, anche se sei distaccato fisicamente, sei sempre toccato dal pensiero della tua produzione. Sono necessari sforzi notevoli, ma sicuramente c’erano delle basi solide che ho cercato di costruire prima di assentarmi. Dietro un team c’è un sistema Italia, ma dietro ogni membro del team c’è un intero staff - nel mio caso capitanato da Anna Plati, una professionista straordinaria, che mi ha sostituito e ha colmato la mia assenza durante i mesi della preparazione alla finale, da gennaio a settembre. Solo di prove reali di gara, abbiamo fatto 18 prove a tempo. Ognuna richiede due giorni di preparazione dei box dell’attrezzatura e delle materie prime, per poi scatenarsi nelle 10 ore. Per arrivare preparati è necessario tanto tempo e tanto lavoro.
Che consiglio dareste a un giovane che vuole avvicinarsi al mondo delle competizioni?
A cosa sei disposto a rinunciare per realizzare un tuo sogno? Perché sono le rinunce e l’unione con la squadra che porta a dei risultati. Io non pensavo di dover rinunciare a tanto, l’ho capito in corso d’opera e l’ho fatto. E alla fine eravamo una squadra straordinaria, abbiamo stretto i denti insieme e siamo stati ripagati. Quanto ami il tuo lavoro? Non bisogna farsi abbagliare dai riflettori che si accendono su di te, quando hai successo. Tu devi amare il tuo lavoro e quanto sei disposto a dimostrarlo? Magari si può cominciare dai concorsi minori e fare un passo alla volta, anche perché è difficile riuscire subito. All’inizio non hai ancora acquisito quelle competenze tali da reggere gli stress a livello di gara.
La pasticceria negli ultimi due anni ha dato una lezione al mondo della gastronomia, perché ha retto l’impatto della pandemia, tra delivery, take away, nuovi format. Voi come avete vissuto il difficile momento storico?
Dalmasso: Il movimento della pasticceria che sta venendo fuori è dato dai grandi investitori. Se in questo momento sulla punta della montagna del food c’è l’arte dolce, ecco che anche a livello di investimenti si scommette su questo settore con nuovi format, per esempio. Temo solo che col tempo si riveli una bolla di sapone, e che ci sarà una selezione naturale: una volta passata l’euforia, chi avrà una storia e qualcosa di reale da offrire al pubblico resisterà; al contrario, tutto ciò che è fittizio e modaiolo andrà a decadere. Anche in tempo di pandemia ci siamo adoperati per poter offrire un momento di piacere ai nostri clienti, abbiamo continuato a lavorare. E questo ci ha consentito di fidelizzare la clientela, ora stiamo raccogliendo i frutti a livello imprenditoriale.
Pica: Con il primo lockdown, siamo passati da circa mille croissant al giorno a zero. Quindi, dopo pochi giorni, ci siamo attivati con il delivery, rimboccandoci le maniche e consegnando croissant, ma anche tortine e pane, pasta fresca all’uovo. Non tanto per compensare il fatturato perso, ma anche per mantenere la gioia di lavorare e accontentare i clienti. Poi, in un secondo momento, ci siamo inventati la Pica dark kitchen, che per un periodo di tempo ha consegnato la pizza al padellino e una selezione di hamburger ricercata. Oggi siamo ancora in piedi, grazie alla forza di volontà che non ci ha fatto mai mollare, ma anzi sperare.
Progetti futuri?
Dalmasso: Come presidente del Club Italia, posso dire che il primo progetto è la finale nel 2023: il tempo è poco, hanno posticipato l’edizione appena passata, quindi si è di fatto avvicinata della Coupe du monde de la Patisserie 2023. Abbiamo fatto le selezione, ora c’è una squadra nuova, mentre i campioni del mondo 2021 e 2015 fanno parte del gruppo di allenatori. In questi pochi mesi dobbiamo riuscire a dare un nuovo smalto all’Italia in vista della prossima finale.
Pica: Rilancerò la Pica Pastry School, la mia scuola di formazione, e devo dire che grazie al titolo appena conquistato stanno arrivando interessanti collaborazioni con belle aziende che ti consentono una crescita professionale; far parte del “sistema Italia” è un’altra cosa che è nei miei programmi futuri: voglio restituire tutto l’aiuto che ho ricevuto io per affrontare la coppa del mondo, pur essendo l’ultimo arrivato in squadra, sia come coinvolgimento sia come formazione. Perché puoi anche essere un bravissimo professionista, ma è evidente che il lavoro del laboratorio è completamente diverso da quello della competizione: io ho avuto la fortuna di trovarmi nel posto giusto, all’interno del Club e all’interno di Cast Alimenti, con le persone giuste. Mi sembra doveroso restituire, almeno in parte, ciò che ho ricevuto.
In quale direzione sta andando la pasticceria: quali sono le tendenze dell’arte dolce?
Dalmasso: Senza dubbio ci sarà sempre più l'introduzione dei vegetali in pasticceria, ma anche più attenzione a tutto ciò che è naturale. Si punterà all’essenza e alla ricerca, per dare qualcosa di innovativo che incuriosisca, senza dimenticare che non è il racconto, ma è il prodotto che ci deve emozionare.
Pica: Io per formazione non ho un orientamento classico, ma penso che in questo momento si avverta l’esigenza di un bel ritorno alla pasticceria classica, fatta come si deve. Perché penso che a volte, per creare qualcosa di nuovo, il rischio è che si sfoci nell’esagerazione, andando a oscurare quella che è la vera arte della pasticceria in Italia.