"Qui stiamo cucinando", dice Ferran Adrià, riferendosi ai semplici video che ha postato online destinati agli spagnoli, e non solo, chiusi a casa. Lo chef sta condividendo le sue ricette con tutte quelle persone che, crede, durante l'epidemia di Coronavirus hanno trovato il tempo per migliorare le proprie abilità in cucina.
Il gigante della cucina spagnola, protagonista di una delle più grandi rivoluzioni della gastronomia contemporanea, non cerca di divertire o intrattenere nei suoi video. Usando le ricette del suo libro, The Family Meal, spiega i piatti semplici ed economici che ha consumato con la brigata del leggendario elBulli.
"Lo facciamo con l'intenzione di aiutare, ma anche approfittando del fatto che in molti hanno riscoperto il tempo e il piacere di rimettersi ai fornelli anche con delle preparazioni base", dice lo chef, più che consapevole che il mondo della gastronomia come lo conosciamo, sembra stia cadendo a pezzi.
Adrià è fermamente convinto che ci sia bisogno di un forte servizio pubblico in questo momento, e dunque non appena la Spagna è andata in lockdown ha cominciato a pubblicare video per rispondere alle esigenze immediate delle persone. Tuttavia, forse in una prospettiva a lungo termine, lo chef sta anche concentrandosi sulla sua futura gestione aziendale.
Adrià nonostante sia il portabandiera della cucina d'avanguardia, dal 2011, cioè da quando ha chiuso elBulli, ha cominciato a occuparsi a tempo pieno dell'aspetto economico della gestione dei ristoranti con la sua elBulliFundation.
"Sono bravo con i numeri, quello con cui ho problemi è la cucina", ride, parlando del suo libro sulla gestione aziendale, Mise en Place. Il libro, nato in collaborazione con Caixa Bank, esamina molti aspetti del business della ristorazione. Grazie a questa partnership sono state offerte borse di studio per imprenditori con piccole e medie imprese che hanno ricevuto una formazione specializzata su tutti gli aspetti chiave della gestione aziendale.
"Aprire un ristorante ci rende imprenditori, il che significa che la nostra maggiore capacità e responsabilità è quella di essere buoni imprenditori. Questa emergenza ce lo dimostra" dice.
In Spagna, come in molti paesi del mondo, il governo ha decretato uno stato di emergenza per prevenire la diffusione del Coronavirus. Centinaia di bar, ristoranti e panetterie hanno dovuto chiudere fino a nuovo avviso, perdendo la loro fonte di reddito regolare. Stiamo parlando di un settore responsabile del 4,7% del PIL spagnolo, che dà lavoro a 1,3 milioni di persone e alimenta una lunga catena di produttori, agricoltori, trasportatori e lavoratori. Per la stragrande maggioranza di queste persone, il telelavoro non è un'opzione. Mentre tutti si destreggiano per sopravvivere finanziariamente, la sensazione spaventosa è che il peggio debba ancora venire.
Per ora, il governo spagnolo ha approvato il più grande pacchetto economico nella sua storia democratica, dedicando il 20% del PIL spagnolo per rispondere ai cittadini e alle aziende colpite dal Coronavirus. Con l'attivazione di misure quali gli schedari di regolamentazione del lavoro temporaneo (ERTE), le imprese colpite da forza maggiore possono chiedere sostegno allo Stato per coprire una percentuale degli stipendi dei lavoratori. Senza aiuti come questo e altri che verranno è difficile immaginare una rinascita nel paese.
"La vulnerabilità o fragilità dei ristoranti sembra un po' endemica", dice Adrià. "Abbiamo sempre ragionato sul quotidiano. Perché? Perché nessuno pensava che si sarebbe verificata una situazione di questo tipo. La maggior parte dei ristoratori gestiva la propria attività giorno per giorno: basti pensare che il 50% dei ristoranti in Spagna non dura più di cinque anni e che il 22% non dura più di due anni."
Lo chef aggiunge che ogni volta che si sente dire "Ferran, voglio aprire un ristorante perché amo cucinare e voglio creare" risponde: "Non aprire un ristorante solo per questo motivo, se vuoi farlo la prima cosa a cui devi pensare è la gestione."
È vero che, in un momento in cui la parola sostenibilità è così di moda, nel settore della ristorazione si è discusso poco sulla sostenibilità dei modelli di business. "Non ci sono risposte semplici, ma possiamo cogliere l'occasione per sfruttare con intelligenza questo evento inaspettato e capire quanto sia pericoloso, per il futuro, non avere un piano B di sicurezza. Continuare così, senza un cuscinetto o una strategia chiara, ci porterà solo lungo sentieri pericolosi."
Nel bel mezzo della dibattito dell'impatto economico che sta avendo il Coronavirus sui mercati e sulle attività, Adrià osserva: "È la prima volta nella storia, diciamo negli ultimi 220 anni, che i ristoranti sono tutti chiusi. Mi sembra già tutto così scioccante.Quando questa situazione sarà finita, il valore del ristorante sarà accentuato e tutti avranno capito quanto è bello andare a cena. Sono un po' ottimista."
È positivo, ma anche realistico. "Se già sappiamo che a giugno non ci saranno gli Europei di calcio o le Olimpiadi di luglio, ci si potrebbe aspettare che alcuni ristoranti possano riaprire a luglio se la pandemia sarà sotto controllo. Ma alcuni potrebbero riuscirci solo a settembre, altri l'anno prossimo, chi lo sa?"
Secondo Adrià il "ritorno alla normalità" non avrà solo a che fare con la fine di questo stato di emergenza ma soprattutto con la capacità delle imprese di aver saputo resistere alle turbolenze economiche e alla loro abilità di "resettare i propri modelli di business" piuttosto che semplicemente "reinventarli".
"Le cose non saranno così facili, non basterà aprire la porta", spiega lo chef, considerando che le spese, le abitudini di consumo e i ritmi delle persone i primi tempi saranno diversi. "Quello che non possiamo fare è concentrarci sui mesi futuri seguendo le dinamiche cui eravamo abituati: clienti che viaggiano in estate, consumi che aumentano durante le vacanze, alla fine dell'anno tutto cambierà. Ogni ristoratore deve analizzare la natura dei propri scenari aziendali e progettuali, compresi gli aiuti pubblici, i crediti, eccetera."
C'è spazio per la creatività durante questa crisi? Adrià, che ha vissuto e respirato un'ideologia creativa che potremmo definire hardcore, nel corso della sua carriera, crede di no. "La prima cosa è gestire il business", dice, "in questo momento non è una priorità pensare a come essere creativi. All'inizio non sarà essenziale inventare un nuovo piatto, la prima cosa sarà servire un piatto. Con il passare del tempo, dovremo riavviare e adattare i modelli di riferimento da altre attività economiche. Ciò che è rilevante d'ora in poi sarà capire una volta per tutte che, il nostro ruolo di chef non ha a che fare solo con la creazione. È necessario sapere come produrre una corretta ricerca di mercato per produrre una strategia adeguata, come monitorare le entrate e le spese, per assicurare un fondo di sicurezza. Chiedetevi: che imprenditori siete? Che cosa volete essere? E come potete farlo? Questo è il tipo di creatività di cui abbiamo bisogno in questo momento."
Adrià è consapevole che la sua visione è diversa da quella della maggior parte dei ristoratori perché attualmente non possiede un ristorante, altrimenti, dice, "vedrebbe molto più nuvoloso". È preoccupato per i suoi amici e colleghi che stanno lottando in questo momento e si chiede cosa accadrà alla crescente offerta gastronomica e al turismo che negli ultimi 30 anni hanno fatto un balzo in avanti in Spagna. Lo chef si dice però certo che se c'è un aspetto positivo in tutto questo è che ogni ristoratore e imprenditore d'ora in poi dovrà analizzare diversamente la propria missione aziendale.
Dal canto suo la missione di Adrià è chiara: sensibilizzare l'opinione pubblica su quanto sia essenziale capire che una buona gestione aziendale è la chiave per il futuro dell'industria della ristorazione.