Hanno coronato il sogno di molti appassionati di gastronomia, andando a cogliere con il loro obiettivo gli aspetti meno conosciuti di un ristorante tristellato. Angelo Ferrillo e Sara Rossatelli, con il progetto fotografico Behind Three Stars - Dietro la terza stella, hanno immortalato il dietro le quinte degli undici ristoranti tre stelle Michelin italiani: un vero e proprio viaggio alla scoperta di brigate, riti, relazioni umane, sogni e ambizioni. Un interessante lavoro che presto tutti potranno ammirare a Milano, dove verrà allestita la mostra omonima, in calendario dal 17 settembre al 16 ottobre alle Officine Fotografiche di via Friuli 60.
Angelo Ferrillo, Membro del consiglio direttivo dell’AFIP International, oltre a realizzare progetti istituzionali e corporate, è insegnate di fotografia allo IED Milano. Sara Rossatelli, invece, dopo la laurea in Design degli Interni, si è avvicinata alla fotografa di backstage, diventando assistente di fotografi di moda. Da alcuni anni lavora al fianco di Ferrillo, su diversi progetti e nella didattica.
Qual è la ricetta segreta che si cela dietro gli impeccabili templi della cucina, cui la Rossa ha attribuito il massimo riconoscimento? Ecco cosa hanno raccontato gli autori del reportage, Angelo Ferrillo e Sara Rossatelli, a Fine Dining Lovers.

Come è nata l’idea di Behind Three Stars?
Il progetto nasce con l'intenzione di raccogliere e raggruppare insieme le eccellenze italiane dell'universo culinario. La nostra scelta, ovviamente, è ricaduta sul mondo Michelin, che in qualche modo 'certifica' le eccellenze che vengono riconosciute a livello internazionale. Noi in Italia abbiamo la fortuna di avere undici ristoranti con tre stelle, così abbiamo deciso di fotografarli per scoprire cosa succede dietro le quinte di queste macchine perfette, e per raccontare la magia che si prova una volta che si è all’interno.

E che cosa avete scoperto?
Ogni ristorante è un mondo: all'interno delle cucine, così come in sala, si creano dei microcosmi per cui le persone si relazionano tra loro scambiandosi consigli e opinioni, lavorando a capo chino su obiettivi comuni e ascoltandosi a vicenda, assemblando un pezzo dietro l’altro per raggiungere un obiettivo. Abbiamo scoperto che ci sono storie di famiglie e di sfide, di ricerca e di continua innovazione, anche se si rimane legati alla tradizione italiana. Poi, abbiamo scoperto ragazzi molto giovani che arrivano da ogni dove per mettersi in gioco, e che affrontano una vera e propria sfida, perché è un lavoro molto impegnativo. Conosciamo da fuori i ritmi e i goal che devono portare a casa, tutto ruota attorno al cliente: si deve avere e mantenere sempre un livello eccellente.

In quanto tempo avete realizzato gli scatti?
Abbiamo iniziato il 19 agosto 2019 con il primo ristorante e abbiamo finito il 31 ottobre dello stesso anno. Non abbiamo lavorato consecutivamente tutti i giorni, anche perché dovevamo sottoporci ai calendari che ci davano i ristoranti. Abbiamo dedicato due o tre giorni per ristorante, da Bolzano a Castel di Sangro abbiamo attraversato fisicamente quasi tutta l’italia: i nostri spostamenti dipendevano dagli impegni degli chef.

Ci raccontate l'impostazione del lavoro: come vi siete approcciati ai ristoranti?
A volte, ancora prima di arrivare a destinazione, abbiamo parlato con i ristoranti per avere una breve introduzione alla realtà in questione. Poi, in genere, un sopralluogo senza che nessuno lo sapesse, per poi presentarci all'incontro parlando con l'assistente personale o con l'ufficio stampa. Poi ci siamo presi del tempo per fare una chiacchierata con lo chef, abbiamo parlato con la brigata, ci hanno raccontato aneddoti. Con lo staff di Mauro Uliassi, per esempio, abbiamo mangiato insieme e ci hanno trasmesso proprio un senso di famiglia. Al ristorante Dal Pescatore, invece, abbiamo pranzato con i Santini, che ci hanno raccontato la storia della famiglia, cui tengono tantissimo. Per esempio abbiamo scoperto che sono degli appassionati di arte, con alle spalle grandi studi sulle materie prime...

Quanti scatti avete realizzato?
Circa 20-25 scatti a ristorante, per un totale di circa 250 scatti (anche se abbiamo fatto circa mille foto a ristorante, in base a quello che succedeva: ognuno di loro, del resto, ha degli elementi che vanno raccontati). In mostra vedremo una quarantina di immagini con formati diversi: 50x40, 200x150, 50x70. Cambiano i formati e anche le tecniche di esposizione, il tipo di carta, la cornice e così via, in modo da creare un dinamismo espositivo, che serve a trasporre a livello estetico il dinamismo che si vive nelle cucine, e quello che abbiamo vissuto.

Cosa avete imparato dal mondo del food a livello fotografico?
La tematica è nuova per noi, ma l’approccio è sempre lo stesso, di tipo reportagistico, che adottiamo anche per gli altri progetti. Si tratta in realtà di un approccio nuovo per chi segue il mondo del food, che in genere è rappresentato con immagini molto pulite e statiche: scardinare questi punti è stata una novità anche per i ristoranti. Poi sappiamo che tra di loro gli staff si parlavano e si informavano: diciamo che piano piano hanno preso fiducia, e anche le persone più restie ad aprirsi ci hanno dato carta bianca sul lavoro.

È la prima volta che vi avvicinate alla cucina...
In genere seguiamo molti progetti che riguardano corporate o moda, ma l’approccio nostro non cambia mai, a noi interessa raccontare storie, facciamo principalmente documentazione e reportage. Il food era un mondo lontano dai nostri precedenti lavori, ma poi abbiamo visto che come approccio, e risultato a livello visivo, i ristoranti hanno quasi più riscontrato un interesse verso la fotografia di questo tipo che verso lo still life classico. Abbiamo visto che anche sui loro social, poi, alcuni hanno iniziato a postare immagini di scene di vita vissuta. Le persone sono curiose di sapere cosa si cela dietro un piatto, aldilà della ricetta fatta e finita: si tratta sempre di eccellenze, quindi è più interessante raccontare cosa c’è dietro.

Qual è l’elemento che caratterizza tutte le cucine tristellate, c’è qualcosa che le accomuna e le rende speciali?
La passione: ce l’hanno tutti e ce l’hanno radicata dentro, può sembrare banale ma è proprio così. Lottano fino alla fine, l'obiettivo è la ricerca dell’eccellenza, il fatto per esempio di far emergere la tradizione e il gusto italiano, ma strizzando l’occhio alla tecnologia: fanno ricerche su materie prime e prodotti, questo è uno studio che è comune a tutti. Poi c’è chi strizza più l’occhio alla tradizione e c’è chi invece crea ricette totalmente nuove. C’è sempre molta disciplina e determinazione. Come abbiamo imparato soprattutto in uno dei ristoranti, la concentrazione sugli obiettivi fa molto di più invece che mettersi a capire come prendere una stella.

Qual è il ristorante dove avete appreso questo concetto?
Da Bartolini al Mudec. È uno chef che ha inanellato una serie di riconoscimenti in tempo record. Vuole sapere cosa per lui cosa fa la differenza? Il fatto che, in relazione ai suoi ristoranti, si pone sempre e costantemente la seguente domanda: cosa può esser migliorato per fare qualcosa di più? È una persona di una umanità incredibile con la sua brigata, anche se invece dall'esterno vedi solo una macchina da guerra, con tanti ristoranti stellati. Punta molto sul suo team, invece, senza l’aiuto dei suoi sous chef e del suo staff incredibile non potrebbe concentrarsi sugli obiettivi e raggiungerli. Questo approccio ti fa scostare da ogni ossessione verso la "Rossa" che è dietro l’angolo. La stella è il premio, ma l'obiettivo è raggiungere l’eccellenza, migliorarsi nell’eccellenza.

Qual è la brigata o lo chef tre stelle che più vi ha stupito e perché?
Norbert Niederkofler è stato una sorpresa. In provincia di Bolzano ti aspetti un tipo più freddo come impostazione, invece ci siamo trovati di fronte a una persona incredibile, disponibile, affabile… Per noi era tutto nuovo, è stato il primo chef tristellato che abbiamo fotografato: ci ha fatto da apripista a questo mondo, e poi è una persona incredibile. Insomma, per una commistioni di fattori, lo abbiamo visto con occhio diverso: ci ha subito accolti a braccia aperte e ci ha accolti nella sua cucina come se fossimo membri della sua brigata. Siamo addirittura stati coinvolti nel briefing che fa ogni mattina con il suo team, mentre fanno colazione stilano il programma della giornata con i punti. Abbiamo notato che lasciava parlare molto i ragazzi, e quando qualcuno aveva un dubbio entrava nel merito. Di fatto delegava senza paura ai suoi collaboratori. Alla fine di ogni shooting, in ogni ristorante, ci siamo fatti una foto con la Polaroid, come ricordo: Niederkofler, per primo, si è divertito con noi e con la polaroid, davvero non ce lo aspettavamo così espansivo.

Altri chef o aspetti dei ristoranti che vi hanno sorpreso, magari per altri motivi?
Anche Mauro Uliassi ci ha stupito: con lui abbiamo avuto rapporti diretti sin dalla prima email, senza intermediari, e questo non capita dappertutto. Una connessione diretta che ci ha permesso di rompere il ghiaccio, prima ancora di conoscerlo personalmente. Siamo rimasti colpiti anche da alcune location: ci sono ristoranti che hanno investito tanto nello studio dell’architettura e del design, e nell’arte. Da questo punto di vista, la location che ci ha più stupito è il Reale di Niko Romito. Ma abbiamo scoperto che molti chef hanno la passione per l'arte e per la fotografia, tanti hanno sculture, stampe... di tutto. Da Alajmo, poi, abbiamo provato il piatto che si chiama Cappuccino Murrina che ci ha stupiti perché effettivamente i colori sono quelli del vetro di Murano, e lì vedi come la cucina sia arte. Anche l'Osteria Francescana è ricca di arte, ci sono pezzi da collezione, e tra l'altro Bottura è un appassionato di fotografia. Tutti questi elementi ci hanno colpito sia perché siamo in primis amanti di questi ambiti sia perché è bello scoprire che sono mondi professionali che si uniscono.

Qual è lo chef tristellato che si è rivelato più fotogenico?
Massimo Bottura: secondo noi ha una buona predisposizione alla posa, forse perché ha una grande esposizione mediatica. Un altro chef che si è rivelato molto fotogenico è Bartolini, forse perché a pochi metri c’è il museo, e la location ha una luce pazzesca. Ma pensiamo anche ad Annie Féolde dell'Enoteca Pinchiorri, che è sempre perfetta e impeccabile: trucco curatissimo, non ha un capello fuori posto, abbigliamento sempre giusto e non eccessivo, è una donna d’altri tempi, ha un gusto particolare e ci tiene molto alla sua figura. Abbiamo prestato molta attenzione affinché venisse tutto come lei voleva. Quando passa la signora Féolde c’è un senso di quasi riverenza, sia per lo charme di donna che lascia alle sue spalle sia per la sua storia.
Il più grande insegnamento, umano e professionale, che vi hanno trasmesso i tre stelle Michelin?
Dal punto di vista umano, che il frontman da solo non potrebbe ottenere quei risultati, ha bisogno del lavoro di squadra: meglio lavorano insieme, più ottengono risultati. Gli chef hanno bisogno degli altri, deve funzionare il team. Poi, si verifica un’eccezione che nel mondo del lavoro raramente si riscontra: la crescita professionale. In altri ambiti, infatti, non è detto che tu possa crescere professionalmente e raggiungere dei livelli sempre più alti, e invece in una cucina tristellata ci sono tanti step che ti possono portare un domani a prendere le redini della cucina. Insomma, una persona può partire da molto in basso e diventare una stella. Inoltre, c'è un grande rispetto per i colleghi e per il loro lavoro, al di là dei rapporti di amicizia che ci sono. Sono insegnamenti che ti porti dietro al di là del lavoro, e che fanno di te una persona migliore.