Giovanni Solofra, due stelle Michelin al ristorante Tre Olivi, spazio gastronomico all’interno del Savoy Beach Hotel di Paestum, in provincia di Salerno, è riuscito in un’impresa rara: passare da zero a due, conquistando in un colpo solo due stelle Michelin nell’edizione 2022 della mitica guida rossa. Classe 1982, originario dell’area vesuviana, Solofra ha alle spalle un’esperienza quasi ventennale. È passato per importanti brigate, al fianco di grandi nomi del fine dining, da Quique Dacosta in Spagna a Ciccio Sultano in Sicilia, sino a rivestire il ruolo di sous-chef di Heinz Beck a La Pergola di Roma. Ha conquistato la sua prima stella Michelin in Sicilia, al The Ashbee Hotel Taormina St. George By Heinz Beck, per poi decidere di tornare in Campania e sposare la “causa cilentana” e il progetto dei Tre Olivi.
Il suo ristorante, in poco tempo, è diventato il fiore all’occhiello del Cilento, un territorio emergente dal punto di vista del fine dining, che sta ottenendo grandi soddisfazioni, con un’alta concentrazione di spazi gourmet stellati, da Le Trabe (una stella Michelin e una stella verde) all’Osteria Arbustico, una stella Michelin. Tutto ispira Solofra, nella sua cucina, dalla dalle ricette locali tramandate oralmente ai vegetali.
Noi lo abbiamo incontrato in occasione di FoodExp 2022: ecco che cosa ha raccontato Giovanni Solofra a Fine Dining Lovers.
I salumi vegetali di Giovanni Solofra - Foto Mariarosaria Bruno
I Tre Olivi è stato il caso della “Rossa” 2022: in un colpo solo ha conquistato due stelle Michelin. Che significato ha per lei questa importante conquista, se lo aspettava?
Assolutamente no. A livello emozionale è stato incredibile, perché siamo arrivati in Franciacorta per la cerimonia e ci hanno comunicato tutto con un tempo diverso rispetto a quando abbiamo ottenuto la stella Michelin a Taormina, qualche anno fa. La mia attuale brigata è per lo più composta da persone che mi hanno seguito dopo l’esperienza al St. George By Heinz Beck, quindi è stata una grande festa. Tali successi si conquistano un po’ per volta, lentamente. Nel 2020, abbiamo scelto di spostarci a Paestum e di fare questa scommessa: per me significava tornare a casa, essendo originario dell’area vesuviana. Credo molto nelle sliding doors, come si dice. Il primo stellato importante con cui ho avuto a che fare è Quique Dacosta (al ristorante Dénia di Alicante, nel 2009, ndr): dopo l’esperienza nella sua brigata, ho capito che l’alta cucina era il mio futuro e da allora ho deciso di percorrere questa strada.
Lei è coinvolto anche in alcuni corsi negli atenei universitari: qual è stato il suo percorso?
Sono molto contento di partecipare a corsi che riguardano l’hospitality e il cibo negli atenei e nelle scuole di specializzazione: sono luoghi importanti, dove è possibile vivere esperienze molto educative e di questo siamo davvero contenti. Per me è come tornare all’università. Il mio percorso? Liceo scientifico, ho iniziato a frequentare Giurisprudenza alla Federico II di Napoli, poi ho deciso di seguire la mia passione per la cucina. Roberta (Merolli, sua moglie, nonché pastry chef dei Tre Olivi, nominata Miglior chef pasticciere dell’anno dalla Guida di Identità Golose 2022) condivide con me un percorso analogo: a lei mancano due esami per laurearsi in Architettura. Non escludo che, prima o poi, porteremo a termine gli studi.
Cosa ha fatto la differenza: qual è stata la spinta per le due stelle Michelin, secondo lei?
Ci piace pensare che sono stati mesi in cui, anziché dormire, abbiamo spinto tanto. Il lockdown e la conseguente difficoltà del periodo ci hanno messo di fronte a una dura realtà: abbiamo lavorato tantissimo per creare una tavola emozionale moderna, un progetto meditato e studiato dal punto di vista tecnico ed emozionale, in maniera comprovata: credo che questa sia stata la chiave del successo dei Tre Olivi. Negli ultimi tre anni non ci siamo risparmiati: abbiamo vissuto il periodo come un’opportunità. Oltre ad avere gli standard, credo che si siano realmente emozionati gli ispettori Michelin. Abbiamo creato un prodotto internazionalmente valido, in una terra che possiamo quasi definire una valley dimenticata.
Nonostante il Cilento sia la culla della dieta mediterranea… Che significato ha questo importante riconoscimento per il territorio?
Il Cilento ha una storia secolare ed è stato baciato dalla fortuna, perché è straordinariamente bello: si va dalle spiagge Bandiere Blu al Parco naturale incontaminato, al Parco archeologico di Paestum. C’è anche tanta cultura gastronomica in questo territorio. Devo dire che in Cilento siamo molto amati perché noi stessi rappresentiamo una (rara) storia di successo. Abbiamo molti clienti del territorio, ma abbiamo anche fornitori che arrivano da noi appositamente per far conoscere prodotti campani, che difficilmente verranno a mangiare nella nostra mensa, ma che ci tengono a dare ciò che allevano o coltivano: dall’agnello dell’Irpinia alle antiche varietà di legumi locali.
In riferimento al suo ristorante, lei parla sempre di mensa: perché? Che cos’è la “mensa” nella sua concezione?
La mensa è l’unione di cui parlavo, è l’inclusività del progetto Tre Olivi. Per anni abbiamo pensato che il fine dining e le cucine d’autore fossero esclusive, ma noi non vogliamo questo: noi vogliamo inclusività. La parola “tavolo” esclude, mentre la parola “mensa” unisce. Parlo di “mensa” per specificare che venire nel mio ristorante non significa solo sedersi al tavolo a consumare, l’atto di mangiare e provare la mia cucina, ma considerare l’atto precedente, che è l’unione con i miei ragazzi, con la mia famiglia.
Come descriverebbe la sua cucina e il suo approccio a chi non la conosce?
La mia è una cucina che concepisce il territorio in una maniera molto moderna e attuale, e lo comunica nella sua visceralità e ancestralità. È una cucina che ha fatto tanta ricerca prima di esprimersi ed è super creativa. I nostri piatti hanno una loro genesi molto soggettiva e intima, che va aldilà di qualsiasi moda o tendenza del momento. Omaggiano elementi come i muretti a secco, le zuppe tramandate dalla tradizione orale, ma preparo anche una pasta e cavolfiori di ispirazione napoletana, da mangiare nella scatola dei bottoni (dove un tempo si conservava tutto quello che poteva tornare utile in un secondo momento). Valorizziamo i grani del territorio e i prodotti selvatici che crescono spontaneamente e che John ci aiuta a raccogliere. La cucina ormai è una lab evoluto, abbiamo macchinari che vanno dal Rotavapor agli estrattori a freddo. La voglia di tornare in Campania e restare non è per il folklore, ma per creare una nuova identità: chi viene in Cilento deve provare assolutamente i prodotti del territorio. Assieme al nostro paniere, oltre agli oli e ai sali che autoproduciamo noi, serviamo intingoli preparati secondo il concetto del thinking global and making local. Abbiamo un babaganoush fatto con le melanzane del nostro orto e il melograno di Paestum, per esempio. Contemporaneità significa creare un contatto con quello che è il tuo ambiente che diventa un’esigenza fondamentale.
Tre piatti iconici per descrivere il suo passato, il suo presente e il suo futuro?
Per il passato sicuramente Fontana o Pomodoro?, una delle mie prime creazioni che si rifanno all’arte: un velo che si tagliava e che ricordava le tele di Lucio Fontana, ma che - una volta aperto - era tridimensionale e ricordava le sculture di Arnaldo Pomodoro. In realtà con quel piatto stavo esprimendo un concetto di economia circolare molto forte: il pomodoro veniva utilizzato completamente, sino a diventare il taglierino nella buccia, ed era unito a una tartare di tonno rosso, nella stagione migliore di entrambi i prodotti (tonno e pomodoro), senza mai dimenticare l’aspetto sostenibile. Muretto a secco, invece, è il piatto che rappresenta il mio presente: si tratta di un elemento che caratterizza il paesaggio cilentano, che ha permesso la coltivazione della vite e dell’ulivo, ed è fatto di legumi locali, poi ci sono anche arborea, finocchio, lumachine e una terrina di coniglio nostrano, fatta in maniera artigianale, per ricordare la tradizione. Per il futuro ci sto già lavorando: c’è un intero nuovo menu che verrà introdotto a breve, che esprimerà un concetto innovativo di Restanza, riferito alla cose che restano, non solo in termini sostenibili di anti spreco, ma anche alludendo all’idea di restare nel nostro territorio.
A proposito, a FoodExp ha portato i suoi “salumi vegetali”: come nasce l’idea?
Vengono serviti come benvenuto, all’inizio della cena: sono nati dall’esigenza di utilizzare un surplus che il nostro orto ci stava dando. Così, il sedano rapa è diventato mortadella, mentre una zucchina è diventata lardo. La mia cucina è molto vegetale, la parte ispiratrice della proposta complessiva del Tre Olivi, nel 99% dei casi, è proprio vegetale. Attorno all’elemento vegetale, infatti, vado ad aggiungere e costruire la parte proteica.
C’è qualche altra novità all’orizzonte?
Sì, la novità della stagione estiva, che è il nuovo terrazzo del ristorante: con la bella stagione abbiamo deciso di inaugurare questo spazio, cambiando un po’ la gestione del servizio. Si entrerà e si uscirà fuori: gli aperitivi e la piccola pasticceria saranno serviti all’aperto, mentre per le altre portate si rientrerà all’interno. Un po’ come quando si viene chiamati per prendere posto, con l'immancabile “è pronto a tavola". Proprio come accade in una casa.