È il “Maestro dei Maestri”, leggenda vivente dell’arte dolce made in Italy. Iginio Massari, classe 1942, è l’unico a essere stato nominato più volte miglior pasticciere d’Italia e del mondo. Di origini bresciane, con la sua Pasticceria Veneto è anche l’unico segnalato sulla Guida del Gambero Rosso con Tre torte d’oro, in una posizione decisamente privilegiata.
Amatissimo volto televisivo, ha contribuito a divulgare la conoscenza della pasticceria e a metterla sempre più al centro del dibattito gastronomico contemporaneo. Tante le iniziative che oggi vedono coinvolto il maestro Iginio Massari. Ultima, la sua partecipazione alle “PatisSeaarie”, le crociere che Costa ha deciso di dedicare alla pasticceria, con una serie di eventi a tema a bordo dell’ammiraglia Costa Toscana.
Il fuoriclasse della pasticceria sarà il protagonista assoluto della prossima crociera, Dolce Italia, in programma dal 3 al 10 luglio. Noi lo abbiamo incontrato in occasione de La Dolce Sfida, la prima crociera tematica realizzata in collaborazione con Agrimontana, che ha visto protagonisti dal 29 maggio al 5 giugno 2022 gli azzurri campioni del mondo della Coupe du Monde de la Pâtisserie del 2015 e del 2021.
Ecco che cosa ha raccontato il maestro Iginio Massari a Fine Dining Lovers.
Lei era il coach della squadra italiana nel 1997, quando abbiamo conquistato per la prima volta la medaglia d’oro alla Coupe du Monde de la Pâtisserie: che effetto le ha fatto rivedere il team azzurro vincere nuovamente, nel 2015 e nel 2021?
Quando si vince una coppa del mondo, si resta sempre campioni se l’impegno per ottenere la medaglia d’oro trova continuità nel lavoro giornaliero. Alla fine c’è una maturazione professionale e, in alcuni casi, anche umana. Nella squadra del 2015 sono tutti ragazzi umili: ognuno ha scelto una sua strada particolare, per esempio c’è chi oggi promuove il panettone, ed è colui che aveva realizzato la scultura di ghiaccio in occasione della gara, che è passato da una materia inerte cui ha dato forma per spiccare il volo a una materia viva. Perché la pasta lievitata è il momento dell’attesa: è come aprire l’uovo di Pasqua per vedere cosa c’è dentro.
Lei è “il Maestro dei Maestri” per eccellenza. Ma c’è ancora qualche sogno che vorrebbe realizzare?
Mi hanno dato il titolo “il Maestro dei Maestri”, ma in realtà la maestria in Italia non c’è. Me l’hanno dato i colleghi, i giornalisti, forse per il mio modo di fare e di propormi. Mi hanno dato pure il titolo di Commendatore della Repubblica, circa 15 anni fa, ma non l’ho mai voluto ostentare, perché quando ero bambino i “cummenda” milanesi venivano presi in giro (ride, ndr). Ci sono tanti riconoscimenti che mi hanno attribuito, forse uno di quelli di cui sono più orgoglioso è il premio che mi hanno dato a Parigi nel 2017, nell’ambito della seduzione e della moda: era la prima volta che l’Italia vinceva questo premio nel mondo del food, ma devo dire che - a differenza dei giornali francesi che hanno dato risonanza alla cosa - la stampa italiana non ha dedicato spazio.
Oggi è cambiata la percezione della pasticceria, ci sono molti più appassionati: merito della televisione (e quindi anche un po’ suo). Perché la gente si è avvicinata così tanto all’arte dolce secondo lei?
Ci sono più appassionati e ci sono anche alcuni dilettanti che sono migliori di molti professionisti. Per qualcuno questo schema dilettantistico è diventato quasi una persecuzione. Perché piace? Dal mio punto di vista, mentre la cucina è “quanto basta”, la pasticceria è “quanto serve”. Per molti è una sfida con se stessi, ma avere gli applausi dei familiari o degli amici è impagabile.
Bello il concetto del “quanto serve”: è in linea con la sua filosofia dolce, sempre attenta a dosare gli zuccheri, senza eccessi, ma anzi con tendenza a togliere…
Assolutamente sì, abbiamo diminuito del 70% l’uso dello zucchero negli ultimi venti anni. Vedo che chi mangia la mia pasticceria, dopo, fa fatica a mangiare l’altra. Perché nell’altra trionfa la dolcezza, nella nostra il gusto aromatico. E poi non dimentichiamo che ci sono due elementi che abbassano i prezzi nell’arte dolce, la farina e lo zucchero.
Nella prossima crociera “PatisSearia” saranno protagonisti i suoi dolci, ma anche alcune sue specialità salate: ci anticipa qualcosa?
Il salato ha sempre fatto parte del mio mondo, tanto è vero che 30 anni fa ho scritto un libro sui primi piatti. Mi piace anche cucinare i secondi, ma non provo la stessa passione che ho per i primi. Ci sarà un intero menu con dei piatti firmati da me: sono stati approvati, collaudati, ci saranno classici italiani come l’abbacchio, le cotolette d’agnello, la zuppa di pesce. Mentre per la pasticceria le proposte toccheranno la tradizione della famiglia: dal panforte senese come si preparava a casa una volta alla zuppa inglese fatta con il vero Alchermes, al maritozzo che - come lo vedete ora - è nato un’idea di mia figlia Debora.
Lei come vede il futuro della pasticceria in Italia: la gente comune si è avvicinata al settore, ma anche a livello professionale abbiamo fatto tanti passi avanti, con l’ultima vittoria al campionato del mondo…
Ci sono due pasticcerie: quella che ha un prezzo basso e ovviamente il pubblico riceve in base a ciò che paga, con boutique che vendono a un prezzo che è esattamente la metà di quanto a noi costa il prodotto prima di iniziare a farlo; e poi c’è la pasticceria con un prezzo diverso. Per esempio, analizziamo le nostre creme pasticciere alla vaniglia: con due cucchiai, altri danno l’aroma per due litri di latte, mentre della nostra si ricavano solo 30 grammi. Per capire il perché, basta guardare i costi della vaniglia, che va da 400 a 800 euro al chilo; noi in genere facciamo un blend metà vaniglia Tahiti e metà Bourbon, perché la Tahiti è troppo forte, a volte si sente uno sfondo quasi di liquirizia e a me non piace. C’è poi chi usa la vanillina, la soluzione più economica, che è quella più consumata…
Che consiglio darebbe a un giovane che vuole diventare pasticciere?
Devi imparare bene questo lavoro, ma se sei una mezza tacca è meglio che smetti e scegli un lavoro meno impegnativo, e non è una questione di ore. Io faccio tante ore perché mi piace e non mi pesa dedicarmi alla pasticceria, che mi ha dato tutto quello che ho e forse anche più di quanto avrei immaginato. Parlare di sacrificio per un ragazzo significa che non ci riuscirà mai a farlo. Se non ci riesce e si sacrifica, perché lo fa? Quando, al contrario, prende di più a stare a casa con le leggi che hanno fatto…
Quindi lei crede che non si trovi personale nel settore per le leggi che ci sono?
Io credo che le leggi determinino il successo o l’insuccesso di una nazione, ma penso anche che gli interessi di partito siano sempre più forti degli interessi del Paese. La politica fatta da persone poco colte porta a questi risultati… Facciamoci una domanda: perché non abbiamo grano oggi? Quando ero ragazzino si parlava del Tavoliere delle Puglie, da cui proveniva la maggior parte del frumento: perché è rimasto solo il manico di questo Tavoliere? Ci sono stati interventi politici ed economici per far funzionare o no la nazione. Diciamo che per risolvere il problema ci vorrebbe un intervento più sociale e meno politico (intenso come partitico).
Qual è il dolce che rappresenta il suo passato e quale il suo presente?
Per il passato scelgo un dolce dei sentimenti, ossia la millefoglie che preparava mia mamma con una crema bavarese. Mia madre è stata la più grande concorrente che ho avuto: quando mangiavo la sua crema, da piccolo, la mia immaginazione mi faceva sognare il paradiso. Non sono mai riuscito a farla come lei. A metà del mio percorso professionale, invece, c’è stato un dolce che ho amato tantissimo, che è il panettone: nel 1975 penso di essere stato il primo che ha iniziato a prepararlo tutto l’anno e, nel 1978, sono stato il primo a fare il panettone al cioccolato. Attualmente non credo di avere una specialità, anche perché penso che la specialità ce l’abbia solo chi non sappia fare il proprio lavoro. Noi mettiamo lo stesso impegno in tutti i dolci, che rappresentano il nord, il centro e il sud Italia. Con lo stesso impegno, ogni sei mesi, a turno, ri-assaggiamo gli stessi dolci e cambiamo man mano dei particolari. Lo facciamo, sempre ogni sei mesi, con tutto lo staff, perché la qualità non è statica, noi cerchiamo di anticipare il tempo. Sino ad ora i clienti ci hanno dato ragione.
E nel futuro quale dolce si porta?
Nel futuro vedo dolci con una giusta quantità di zucchero, perché il troppo e il poco non vanno mai bene, anche a livello di quantità. Noi, in genere, consigliamo 80 grammi di torta a testa. Meglio un consumo settimanale di 80 grammi di dolce, anziché il consumo di una fetta di 300 grammi una volta al mese.
Si parla tanto del suo “palato assoluto”, capace di percepire ogni singola sfumatura. Ci dice come si fa a esercitare il palato assoluto?
Bisogna avere la memoria storica, in primis. Se io le faccio assaggiare la rosa bulgara, che è una parte essenziale per avere un aroma perfetto del panettone, se non l’ha mai assaggiata, come fa a sapere se è presente? E poi c’è un grande problema: i media parlano di “sapore” anche quando è più corretto parlare di un gusto aromatico… Ma i sapori sono solo cinque (acido, amaro, dolce, salato, umami o sapido) e il sesto sapore è l’untuoso, perché ci sono le molecole che lo percepiscono. Se si fa uno spaghetto senza sale, la pasta rimane insipida; se prepara, in particolare, uno spaghetto al pomodoro senza sale, la sua perfezione gustativa è sbiadita, lo sente rarefatto. Mentre, con il giusto equilibrio del sale, c’è armonia. Il sale e lo zucchero sono due elementi che aumentano le percezioni degustative: il sale ha forza osmotica 20 volte superiore allo zucchero. Poi ci sono i cuochi che fanno i dolci senza zucchero, ma allora è più corretto parlare di dessert - dal francese desservir, che significa “sparecchiare” - e può non essere dolce. Se si percepisce il salato, è più corretto parlare di un dessert e non di un dolce.