A Savigno, cittadina tra i colli bolognesi che conta meno di tremila abitanti, Irina Steccanella ha aperto all'inizio del 2019 un nuovo indirizzo fortemente radicato nella tradizione eppur contemporaneo. In appena un anno Irina Trattoria ha riscosso grande successo tra gli appassionati della gastronomia più autentica e concreta.
Lo scorso marzo la chef, come del resto tutti i suoi colleghi in Italia e buona parte del mondo, ha dovuto interrompere temporaneamente l'attività a causa del lockdown, senza comunque fermarsi del tutto tra l'attivazione del delivery e altre iniziative cui ha aderito con vigore.
Un approccio resiliente condiviso con alcuni ristoratori emiliani, espressione di un'autentica voglia di resistere e che li ha accompagnati fino alla fatidica data del 18 maggio 2020, in cui le istituzioni hanno dato il via libera per le riaperture delle attività in sicurezza. Un momento che Irina Steccanella vive con emozione, "come una seconda inaugurazione".
Nelle prime fasi dell'emergenza Covid-19 c'è chi ha interrotto subito l'attività e chi ha atteso lo stop dalle istituzioni. Lei quanto ha deciso di tirare giù la saracinesca?
Ho tenuto aperto fino alla prima settimana di marzo. Ho fermato l'attività lunedì 9, anticipando il decreto che da lì a poche ore ci avrebbe comunque obbligati alla chiusura.
Da ristoratore, ritiene che i provvedimenti per il settore siano stati tempestivi?
Siamo oggettivamente arrivati un po' lunghi con i tempi. Io ho manifestato la mia opinione sin da subito, anche con alcuni colleghi. Ero tra quelli che sostenevano che la chiusura avrebbe dovuto essere immediata, così che il lockdown rigoroso potesse durare meno, magari un mese. Credo siano stati commessi diversi errori che però non mi sento di criticare eccessivamente. Ci siamo tutti ritrovati in una situazione che all'inizio poteva sembrare impossibile, quasi surreale. Non avrei mai voluto essere al posto di chi ha dovuto prendere decisioni per tutta la nazione.
Persino in città c'è chi è ancora molto scettico nel guardare al delivery o all'asporto. Irina Trattoria si trova sui colli bolognesi eppure è stata pioniera nell'attivazione della consegna a domicilio. Perché ha optato per questa possibilità?
Fare delivery qui non è facile, devo ammetterlo. Ma credo sia anche una questione di tempo. Cosa mi ha spinto? Credo sia stata la paura di fermarmi e poi non riprendere più. Un sentimento non del tutto negativo, perché è ciò che mi ha dato il coraggio di provarci in tutti i modi in questi mesi.
Come ha risposto la sua clientela a questo modo inedito di fruizione dei suoi piatti?
Le persone devono avere il tempo di abituarsi a una novità, capire come funziona e come meglio può adattarsi alle proprie esigenze. Il delivery è un servizio che va fatto conoscere, specie in una realtà particolare come Irina Trattoria ma anche molte altre. Va comunicato con costanza: già adesso stiamo iniziando a raccogliere i primi frutti.
Tanto da attivare la possibilità di spedire i prodotti di Irina Trattoria in tutta Italia.
Sì, la mia clientela non è solamente locale. Posso anzi dire che la maggior parte degli ospiti che vengono a trovarci arrivano un po' da tutta Italia. Ho ricevuto quotidianamente una gran quantità di messaggi di solidarietà. Da tutti emergeva però chiaramente il dispiacere per distanza forzata, per l'impossibilità di raggiungere la trattoria a causa delle restrizioni. È così che, dopo una lunga chiacchierata di confronto con Giuseppe Di Martino, una sera è nato il progetto di una gastronomia "nazionale". È una cosa in cui credo fortemente e che voglio sviluppare anche quando questo brutto momento finirà del tutto.
Diversi ristoranti, in Italia e all'estero, hanno provato a riprendere fiato proponendo l'acquisto dei dining bond. Li ritiene uno strumento efficace?
È uno strumento, questa è la cosa importante. Anch'io ho attivato la possibilità di comprare i dining bond. Le ho provate e le sto provando tutte: resto convinta che fare sia sempre meglio che non fare.
In diversi casi i ristoratori hanno dimostrato tra loro una forse inaspettata solidarietà. Anche nel contesto di Bologna e dintorni c'è stata questa voglia di fare squadra?
Io sono in contatto con alcuni di loro, che considero amici. Lavorare insieme è sempre uno strumento vincente, permette di acquistare forza e di confrontarsi. Certo non è sufficiente sorpassare questa crisi, perché a problemi comuni si aggiungono i problemi dei singoli, che sono molteplici e sempre differenti. Parlo di spazi, costi, ubicazione, tanto per dire i primi che mi vengono in mente.
Con il 18 maggio c'è stato il via libera per la riapertura delle attività, con il relativi adeguamenti sanitari. Come si è organizzata?
Chiaramente seguendo tutte le linee guida e con un impegno incessante. In questo periodo prevedo di lavorare praticamente sempre: facendo conti su conti, pianificando ogni minimo dettaglio, dagli acquisti con i fornitori alla proposta del menu, fino alla carta dei vini. Ci sarà una presenza necessariamente minore di clienti e quindi tutto il resto è da adeguare a questo dato di fatto.
Le autorità avevano parlato in un primo momento di una riapertura a giugno, poi anticipata. Con che spirito sta vivendo questi giorni?
Avevo immaginato già da tempo che la ripartenza sarebbe arrivata prima di giugno. Mi sembra di aprire un nuovo ristorante. Ci sono tensioni e paura, è normale, legittimo, ma ci sono anche emozione.