“Quando avevo 18 anni alcuni ristoranti stellati, in Italia e all’estero, mi hanno rifiutato come stagista perché ero donna”. Non deve essere stato facile per Isa Mazzocchi aver seguito la passione per la cucina, in un mondo in cui l’attenzione mediatica verso il food non era ancora subentrata, e la sensibilità all’inclusione latitava decisamente.
Classe 1968, la chef del Ristorante La Palta di Bilegno, frazione di Borgonovo Val Tidone, in provincia di Piacenza, racconta così gli esordi di una carriera puntellata di successi. Un percorso iniziato al fianco dello chef Georges Cogny - “il mio maestro, colui che mi ha insegnato che la pazienza, la meticolosità e lo studio sono fondamentali per raggiungere un obiettivo”-, che nel tempo l’ha portata a trasformare gli spazi di quella che era la vecchia tabaccheria di paese in un destination restaurant. Tra i riconoscimenti che ha collezionato nel corso della carriera, una stella Michelin confermata dal 2012 e, ultimo, il Premio Michelin Chef Donna 2021 by Veuve Clicquot, assegnato nell’ambito dell’edizione numero 66 della Guida Michelin Italia.
Volitiva, serena e “filo-femminile”, come dice lei, o femminista, Isa Mazzocchi ha una grande consapevolezza di quello che è il mestiere, delle potenzialità della provincia e della cucina italiana. E vive con grande gioia il meritato premio, che condivide con la sorella Monica e il marito Roberto, impegnati nella gestione della sala de La Palta. L’entusiasmo per la riapertura, la riflessione sui giovani, le donne e le difficoltà “di genere” nell’affrontare un percorso ai fornelli non sempre facile, ma anche il significato (e il valore) del recente riconoscimento che ha acceso i riflettori sul suo ristorante, portando nuovi clienti: ecco che cosa ha raccontato Isa Mazzocchi a Fine Dining Lovers.

Foto Fausto Mazza
Che effetto fa aver vinto il Premio Michelin Chef Donna dell’anno?
Non me lo aspettavo, è una sensazione di altri tempi. Me lo sto godendo tanto questo premio, con immensa grandezza, in tutte le sue sfumature e in tutte le piccole o grandi cose che ha comportato.
Come è andata la riapertura de La Palta, avvenuta quasi in concomitanza con il riconoscimento?
Ho riaperto il ristorante il primo maggio, sfruttando lo spazio all’aperto: è stato il maggio più freddo degli ultimi anni, ma ce l’abbiamo fatta e siamo contenti. Il nostro ristorante si è potuto godere da un punto di vista diverso, abbiamo aumentato i coperti all'esterno, prima avevamo solo quattro tavolini all’aperto che usavamo poco, esclusivamente in primavera e in autunno, perché in estate fa troppo caldo. Abbiamo preso una tensostruttura per coprire e ci siamo attrezzati per mettere dei tavolini all'ingresso, sul terrazzino, al bordo del giardino: l’effetto finale era molto bello, il cliente si è sempre adattato al clima o alla situazione. Poi noi siamo in aperta campagna, immersi nella natura, al massimo si avverte il rumore di un trattore.
Dopo il Premio Michelin Chef Donna 2021 ha notato più affluenza o nuovi clienti?
Arrivano persone che non sono mai state da noi: da Zurigo, da Montecarlo, dal Trentino Alto Adige… La Palta si trova in un paese di neanche cento abitanti, è incredibile quello che accade: mai avuto così tanti clienti da fuori concentrati in così poco tempo. È bellissimo, e poi tutti ti dicono “complimenti per il premio”: ho notato che viene percepito con un valore molto alto dalle persone in generale, e non solo da noi ristoratori. Alcuni piacentini che non sono mai venuti a La Palta ci hanno chiamato per complimentarsi, dicendo che era come se avessero vinto loro il premio, e che verranno a provare il ristorante. È davvero pazzesca la risonanza che ha avuto questo riconoscimento sugli sconosciuti, e non solo sui clienti!

Foto Fausto Mazza
Ma sono ancora necessari i riconoscimenti “di genere”?
Se esistono è perché sono ancora necessari, dal momento che non viene fatto il Premio Chef Uomo. Tra le righe, leggiamo che c’è ancora la necessità di questi riconoscimenti, purtroppo… Non credo che le donne siano inferiori agli uomini per come sanno muoversi e lavorare nel nostro campo. Sicuramente noi donne siamo molto meno numerose rispetto agli uomini in cucina (anche se in italia siamo di più rispetto ad altri Paesi), ma credo sia ancora necessaria questa attenzione. Lo spirito di sacrificio è sempre della donna, spesso chi si adatta alle situazioni è la donna… in ogni caso è sempre la donna, ma perché? Probabilmente perché la donna ha molta più dimestichezza con i rapporti e con la gestione: peccato che questo non abbia un valore nell’immaginario comune.
Appartiene a una generazione di chef cresciuta in un momento in cui l’attenzione verso il mondo della cucina non era così forte. Il suo percorso non deve essere stato facile: qual è stata la più grande difficoltà
Io ho fatto fatica a entrare in alcune cucine, anzi in alcune cucine non ci sono proprio entrata perché non davano spazio alle donne: era una questione “di logica”, nel senso che le brigate erano formate da uomini; prendere delle donne voleva dire avere uno spazio anche per loro, creare una camerata solo per le donne, mentre se restavano solo uomini non c’era la necessità di suddividere gli spazi. Quando avevo 18 anni ci sono cucine che non mi hanno accettato a fare lo stage perché ero donna. Accadono queste cose anche per una questione culturale e di mentalità vecchia: significa che non c’è un'apertura, si vedono delle differenze che in realtà non ci sono. Le differenze, invece, si dovrebbero eventualmente vedere solo nel momento in cui vai a lavorare, e non prima. Io sono abbastanza filo-femminile, per non dire femminista: in base alle nostre esperienze tutti prendiamo delle posizioni, ci facciamo delle domande e ci diamo delle risposte.

Foto Fausto Mazza
Che tipo di ristoranti erano quelli che l’hanno rifiutata in stage perché donna?
Anche indirizzi storici, ristoranti stellati, sia in Italia sia all’estero. Fondamentalmente mi hanno rifiutata o perché non erano strutturati per accogliere le ragazze o per una questione di mentalità. Per fortuna le cose ora sono cambiate: per esempio, ho guardato l’altro giorno un servizio su Enrico Bartolini e ho visto una ragazza in cucina; Philippe Lévéillé, poi, ha uno staff quasi tutto femminile; io stessa ho due donne in cucina, una stagista e una ragazza fissa della brigata.
Qual è la cosa di cui è più fiera?
A livello personale i miei figli, mentre a livello professionale forse è proprio il riconoscimento della Guida Michelin, culminato con l’incoronamento come Chef Donna 2021. Un altro premio che mi ha reso molto fiera è quello del mio Comune, Borgonovo Val Tidone, che nel 2006 mi ha eletta Borgonovese dell’anno: un titolo che viene attribuito a chi è da portare come esempio per i giovani, non solo per quelli che intraprendono il lavoro in cucina, ma come esempio per tutti. All’epoca non avevo ancora ottenuto la stella Michelin, ma avevo portato il nome del paese fuori dalla provincia di Piacenza. Non ero ancora così conosciuta come in questo momento, e quel premio mi ha dato un immenso piacere.
Foto Stefano Caffarri
Secondo l’ultimo rapporto FIPE sono i giovani e le donne le categorie più danneggiate dal Covid. Cosa direbbe a una giovane chef che non ha il coraggio di lanciarsi in una carriera in cucina?
Quelle più penalizzate sono le donne, licenziate o con stipendio abbassato: noi donne dobbiamo lottare sempre di più. Ti dicono sii forte, le donne sono forti, ma non so fino a che punto dobbiamo arrivare. E non riesco neanche a capire come mai nelle aziende arrivano a licenziare più le donne degli uomini. Se una donna non ha coraggio, non le consiglio di lanciarsi: il coraggio è la cosa fondamentale, non bisogna avere paura di niente, è necessario andare e fare. Ma è la grande passione ciò che muove tutto: quando la provi per il tuo lavoro, viene fuori. Il consiglio è di non arrendersi alle prime difficoltà e cercare di superarle sempre.
In cucina parte dai sapori del territorio per arrivare molto lontano, ed è cresciuta in un piccolo paese: è la riscossa della provincia italiana?
Stiamo vivendo il grande momento dell'italianità: è l’ora della cucina italiana, che è fatta di territori anche molto piccoli, ma che si differenziano uno dall’altro. E questo dobbiamo farlo diventare il nostro punto di forza: i micro territori, con micro tradizioni e micro colture che fanno la differenza. Non so perché non ci sia mai stato il momento della cucina italiana, ma nel tempo sono state portate alla ribalta la new nordic cuisine, la gastronomia spagnola e quella delle Ande… Adesso secondo me è il momento della cucina italiana, e le micro differenze devono diventare il nostro tratto distintivo su cui scommettere. In ogni piccolo territorio c’è una bellezza unica, non solo dal punto di vista culinario, ma anche in una prospettiva artistica e archeologica: ci sono spesso reperti unici e introvabili. Il mio paese, Borgonovo Val Tidone, per esempio, ha dato i natali a Giovanni Battista Guadagnini, uno dei più grandi liutai. Ogni micro area ha qualcosa da raccontare.
Foto Stefano Caffarri
Quali sono tre piatti che rappresentano rispettivamente il suo passato, il suo presente e il suo futuro?
Per il passato scelgo il Piccione al Campari con la polvere d’arancio e i carciofi fritti, un piatto di fine anni Novanta che io e mio marito Roberto abbiamo elaborato insieme. Per il presente direi un piatto che stiamo proponendo ora e che piace molto a mia sorella Monica: Tagliolini alle ortiche con le lumache e germogli di pungitopo, che ha un mix di amaro e di rotondità, un insieme di sapori che rappresentano al meglio questo momento storico. Per il futuro, invece, un piatto del domani, che potrei dedicare ai nostri figli, e direi che ce la giochiamo con un dolce: un semifreddo dolce-amaro, finito con un’insalata di more di gelso selvatico. Quasi quasi lo inserisco in carta...