Trent’anni di carriera e sentirli tutti. Nella voce, nella consapevolezza e nei piatti sempre più maturi di Iside De Cesare. La chef de La Parolina di Trevinano, a un passo dal Lago di Bolsena, ad agosto ha celebrato il suo compleanno lavorativo con un post su Facebook: “Sono entrata nel trentesimo anno di attività in cucina. Mi sento una privilegiata a poter fare un lavoro che è prima di tutto una passione. Oggi sono felice di non aver mai ascoltato tutte le persone che mi hanno detto che la cucina fosse luogo per uomini. Soprattutto voglio ringraziare tutti i miei maestri per aver sostenuto la mia passione e dire a chi si avvicina a questo incredibile mestiere, soprattutto alle ragazze, di non mollare mai e seguire sempre le proprie aspirazioni. I problemi passano, la fame resta, c’è sempre un piatto nuovo da preparare, da assaggiare e da offrire!”.
Stella Michelin da 13 anni, Iside De Cesare ha trovato a Trevinano, in provincia di Viterbo, a cavallo fra tre regioni – Lazio, Umbria e Toscana – la giusta quadra per conciliare famiglia e lavoro. Il segreto è una stanza che fa da “cuscinetto” fra la cucina del ristorante e le mura domestiche in cui Iside abita con i due figli e il marito Romano, da sempre partner sia nella vita che nel lavoro. Ma, ammette, “oggi sono grandi ed è tutto più facile, ma è stata dura. Bello e faticosissimo”.
Iside, si può fare un bilancio di questi trent’anni?
Il bilancio è che non ho mai avuto tempo per pensare, ho fatto sempre tutto un po’ di corsa, senza pormi domande, perché sono convinta che i cambiamenti avvengono facendo. Ho sempre adottato questa strategia all’impronta. Oggi posso dire che sono contenta dell’esperienza maturata, dell’essere riuscita a trovare un equilibrio, grazie anche alle sinergie con tutto quello che mi circonda.
Crede che l'essere donna abbia reso tutto un po' più difficile?
La cosa più difficile è stata iniziare, ma non posso dire che sia stata particolarmente dura. Prima ho studiato ingegneria, poi mi sono avvicinata alla cucina. All’inizio ero nel ristorante di famiglia, quindi non avevo alcuna pressione, poi però ho voluto fare una scuola di cucina, specializzarmi e via via che acquisisci competenze vieni vista come un collega alla pari. La mia strategia era non far caso agli altri e andare avanti. Ma ricordiamoci che le donne in cucina ci sono sempre state, il salto di qualità sta nel fatto che le donne possano anche fare carriera.
E lei hai precorso i tempi in questo senso.
Fino a poco prima che io crescessi le donne non potevano uscire di casa o viaggiare da sole per una questione culturale. Possiamo dire che dalla mia generazione in poi è cambiata la mentalità. Inoltre noi eravamo tre figlie femmine, per cui in famiglia non ho mai vissuto la differenza maschi-femmine.
Chi sono i maestri di cui parlava nel post di Facebook?
Heinz Beck lo ritengo un mentore dal punto di vista della professionalità, posso dire che Salvatore Tassa e Agata Parisella, un’altra grande donna della cucina, mi hanno dato un’impostazione soprattutto sui sapori di questa regione. E poi c’è Gianfranco Bolognesi, anche se non era in cucina. Lui per me è stato come un padre e ritengo sia stato formativo lavorare con lui dal punto di vista del come ci si approccia al lavoro.
Qualcun altro da ringraziare?
Dico grazie anche ai ragazzi che hanno lavorato e lavorano da me, tutti quelli che mi hanno aiutata in questi anni. Oggi in brigata siamo 7-8 e abbiamo il problema del personale come tutti. In questo momento siamo quasi tutte donne, ma è una casualità, perché do opportunità a tutti e scelgo i miei collaboratori in base alla professionalità. Ci sono stati momenti in cui in brigata c’erano più ragazzi e momenti come adesso in cui siamo quasi tutte donne.
Come avete affrontato il momento delle chiusure dovute all'emergenza sanitaria?
La prima chiusura è stata un trauma, bloccare di colpo un’azienda è stato complicato. All’inizio l’ho vissuto come un momento di riposo, ma è stato difficile prendere le misure senza una prospettiva chiara. Ma penso che in qualsiasi cosa bisogna andare a intercettare l’opportunità. Così dopo un po’ abbiamo cominciato a dedicare il tempo in più che avevamo per controllare i numeri, riprogrammare, trovando dei lati costruttivi in tutto questo. Però ammetto che c’è stato un grande senso di smarrimento.
Pensa che il momento più difficile della pandemia sia alle spalle?
L’estate è andata bene, i numeri sono stati buoni e costanti. E sembrerebbero incoraggianti anche le previsioni fra autunno e inverno, a differenza dell’anno scorso che avevamo una maggiore sensazione di incertezza. Tuttavia resta il problema del personale, che a me sembra incredibile.
Come se ne esce?
Ai ragazzi a cui insegno nelle scuole dico sempre che ci deve essere passione. È ovvio che debba essere supportata da un riconoscimento economico, ma ma se non c’è passione questo lavoro è una punizione divina. Devi amare l’accoglienza, che è la parte nobile del nostro lavoro.
E alle donne in particolare cosa insegna?
Sono contenta di aver fatto un po’ da apripista e continuo a sostenere le donne in un ambiente prevalentemente maschile. Va detto che ci sarebbe bisogno di maggiore supporto, specialmente nelle grandi città, perché tante donne abbandonano o accantonano la carriera perché è complicato essere madri e lavoratrici al contempo.
Lei come ha fatto a conciliare lavoro e famiglia?
Nel mio caso ha aiutato molto essere in questo angolo di mondo più a misura di famiglia, ma conciliare i due piani è stato faticoso. Faticoso e divertente al contempo. Per me è stato un grande insegnamento come i miei figli mi hanno supportato nell’essere madre. Ho avuto e ho un tifo fortissimo da parte dei miei figli. E di questo li ringrazio.