Imprenditore, autore, personaggio televisivo, produttore di vino. Nessuna di queste definizioni basta a descriverlo. C’è una cosa però che Joe Bastianich tiene a chiarire: «Non sono uno chef, sono un ristoratore».
Partito in discesa con un DNA friulano e una madre cuoca d’accezione, si dedica agli studi in Economia e oggi possiede un impero in popolarità - grazie al programma tv MasterChef Usa e Italia - in ristoranti ed in etichette di vino. Ecco che cosa ha risposto alle nostre domande.
Tre cose che non sopporta quando va a mangiare fuori.
Tovaglioli sintetici, menu plastificati e il Seltz. Se entrando in un locale vedete anche solo una di queste cose, tornate sui vostri passi e uscite.
Quando ha aperto Felidia a Manhattan nel 1981 si aspettava che gli americani accogliessero con tanto entusiasmo piatti come la jota, il gulash o il frico?
Mia madre, Lidia, preparava piatti che ha imparato a cucinare da bambina per i clienti del primo ristorante della nostra famiglia, il Buonavia. Si avvicinava ai tavoli e offriva agli avventori un assaggio di qualunque cosa avesse cucinato per quel giorno – trippa, risotto... Era la prima volta che le persone di qui provavano questo tipo di cibo, e lo amavano.
Aprire ristoranti italiani negli Stati Uniti è ancora una buona idea?
Sì. La cucina italiana è la più amata negli Stati Uniti e nel mondo. Ci sarà sempre posto, qui, per ristoranti italiani autentici.
Dove potrebbe pensare di aprire il ristorante dei suoi sogni? In effetti sto pensando proprio di aprirlo, a Cividale del Friuli, accanto alla mia cantina, alla fine dell’estate o in autunno. Sarà un piccolo spazio intimo che renderà onore ai vini locali e alla cucina friulana
Come fa a gestire così tante cucine in così tanti luoghi diversi?
Gestire tanti ristoranti sparsi per il mondo certe volte mi fa sentire come un giocoliere e senza dubbio non è una cosa che si impara dalla sera alla mattina. Si impara cosa funziona e cosa no mentre si lavora. Avere una squadra solida composta da persone con visioni compatibili è fondamentale. Mario (Batali, il suo partner in affari, ndr.) ed io abbiamo il pallino di scovare e coltivare talenti – di fatto alcuni di loro sono cresciuti e sono diventati nostri partner, e questa è una delle ragioni di un’espansione di successo.
Perché ha deciso di prendere parte al progetto Eataly a New York?
Il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, cercava partner americani per portare lo store a New York, e alla fine ha voluto mia madre, Mario Batali e me. Il concept ci ha conquistati subito e abbiamo capito in un attimo che volevamo farne parte. Dopo appena due anni e mezzo, lo store è un grande successo e ha cambiato in meglio il modo di fare shopping, di mangiare e di cucinare dei newyorkesi.
Lei è proprietario di aziende vinicole in Friuli, in Maremma e in Piemonte, oltre che in Argentina. Quando è iniziata la sua passione per il vino?
In Italia ho tre cantine e in Argentina produco un vino che si chiama Tritono insieme a Matias Mayol. Il vino c’è sempre stato nella mia vita. Ho una buona capacità di cogliere le differenze sottili tra i sapori, mia madre mi chiamava “un assaggiatore nato”. La mia passione e la mia capacità di apprezzare davvero il vino e la sua produzione si sono sviluppate quando ero ancora un ragazzino e passavamo sempre più tempo in Italia. Ero fortunato, ho conosciuto alcuni dei migliori produttori italiani e sono rimasto impressionato da loro quanto dal vino che facevano.
Ha scritto diversi libri di successo, tra cui il recente Restaurant Man (2012). Di cosa si tratta?
Sono memorie sulla mia crescita nel mondo gastronomico newyorkese attraverso quattro decenni.
Finito il college, lei vendeva obbligazioni. Cosa l'ha spinta a cambiare rotta?
Il periodo che ho passato a Wall Street mi ha insegnato che perseguire un obiettivo solo per il guadagno porta diritto all’infelicità. Alla fine la mia disaffezione per il mondo della finanza mi ha portato a quello che amavo davvero: il buon cibo e il buon vino.