L'aula matrice è lì, tra le mura albertine del campus dell'Università di Pollenzo, frazione di un paesino incuneato nelle terre del vino e del tartufo in Piemonte, Italia. Luogo dove quasi trent'anni fa è nato il movimento Slow Food. Che ha fondato, nel 2004, l'Università di Scienze Gastronomiche, la prima al mondo nel suo genere, dove ogni dimensione dell'universo-cibo è integrata, la cui visione potrebbe essere dipinta come il ritratto di un giovane contadino con l'iPad.
DOVE TUTTO È COMINCIATO
Pollenzo è riverita e copiata nel mondo: quasi la metà dei suoi studenti sono stranieri, e delegazioni da Germania o Giappone sono regolarmente ospiti dell'Ateneo per imparare, e portare a casa. “La valorizzazione del cibo a 360°è il frutto della deindustrializzazione: in Italia – e in Europa – bisognava tirare fuori nuove risorse dal territorio. E quale il patrimonio per resistere, se non il cibo? – illustra Simone Cinotto, storico dell'alimentazione con cattedra a Pollenzo, specializzato in storia americana – Le università hanno risposto a questo nuovo interesse”.
NEI CAMPUS STATUNITENSI
Paradossalmente, l'offerta più ampia e articolata si trova negli States: i primi corsi dedicati al cibo e ai suoi risvolti socio-culturali hanno iniziato a far capolino due o tre decenni fa. Poi, il trapasso: nascono i primi diplomi di laurea dedicati (minor, e major). A partire dallo storico Department of Nutrition, Food Studies, and Public Health della New York University, dove Marion Nestle introduce vigorosamente la tematica delle politiche alimentari. O, ispirato da Pollenzo, il Master of Liberal Arts in Gastronomy proposto dalla Boston University. “Food Studies”, ossia le Scienze Gastronomiche, è quel campo interdisciplinare in cui confluiscono, si confrontano, interagiscono le varie discipline che hanno a che fare col cibo.
“La separazione con Agraria (l'americana Food Science) è netta – spiega Cinotto – perché lì l'aspetto socio-culturale non viene preso in considerazione. La sfida è proprio quella di integrare le dimensioni”. Nel giro dell'ultimo paio d'anni i percorsi accademici universitari incentrarti sul cibo sono decollati, con nuove, interessantissime proposte. La grande università statale dell'Indiana ha lanciato due anni fa un Dottorato di ricerca unico in Antropologia del cibo, diretto da Richard Wilk, che coinvolge ben 37 facoltà nel campus.
La University of the Pacific a San Francisco il primo Master of Arts in Food Studies della West Coast, diretto dallo storico Ken Albala. A New York la New School for Social Research ha approntato un bachelor's per studenti-lavoratori. E oltre gli States: l'Università di Toronto Scarborough, dove insegna il famoso storico del cibo Jeffrey Pilcher, ha lanciato il progetto Culinaria per documentare, preservare e studiare la diversità culinaria presente al mondo.
E DA NOI?
In Europa non esiste un'offerta accademica organica, ma tutti si stanno attrezzando. Da segnalare l'Istituto Europeo di Storia e Cultura del cibo a Tour in Francia e la Laurea in Scienze Culinarie e Gastronomiche dell'Università di Barcellona.
In Italia, invece, abbiamo il corso di laurea in Scienze Gastronomiche di Parma e diversi master, tra cui si distingue in particolar modo quello in Food&Wine Communication della Iulm. Particolarmente innovativo quello in Food Design, sempre dell'università di Milano.
IL FUTURO DEL CIBO
Quali sono le figure professionali e le carriere che escono da questi percorsi di studio? “Dalle facoltà di Scienze Gastronomiche escono 'mediatori culturali' – spiega Cinotto, autore di vari libri tra cui The Italian American table - Food, Family, and Community in New York City e Soft Soil, Black Grapes – The birth of Italian winemaking in California - il cibo non è più solo produzione, ma anche comunicazione. Da spendersi nel quarto settore, piuttosto che in aziende o nella scrittura”.