Perché le centinaia di guide e blog che in ogni Paese esprimono pareri sui locali non rendono pubblici i criteri di giudizio su cui si basano? Si tratta di una scelta, la scelta di tenere nascosti gli strumenti di analisi per tutelare il proprio ‘potere’, oppure semplicemente perché nessuno si è mai preso il disturbo di definirli, codificarli, analizzarli e metterli per iscritto? (…) Cosa è esattamente una ‘buona cucina’? Come deve essere il servizio per farci sentire bene? Quando un ingrediente è di qualità?
Parte da qui Roberta Schira - giornalista e critica gastronomica del Corriere della Sera, collaboratrice di Fine Dining Lovers fin dai suoi esordi e autrice di diversi libri – nel suo ultimo testo che esce oggi in libreria per Salani editore: Mangiato bene? 7 regole per riconoscere la buona cucina.
Molto atteso in Italia, e ci auguriamo presto tradotto in altre lingue, questo libro è la risposta che l’autrice ha elaborato dopo aver constatato - nei vent’anni passati a mangiare nei ristoranti per professione e per passione - che «non esiste una teoria della cucina e della ristorazione, né una scuola che aiuti a giudicare e riconoscere un buon ristorante.» Con parole semplici, chiare e non banali, l’autrice affronta la delicata materia in 224 pagine punteggiate di aneddoti personali che ne rendono molto piacevole la lettura. E ne fanno una concreta proposta di (ri)fondazione della critica gastronomica.
«La mia tesi» – scrive Roberta Schira, «è che il Buono, come il Bello, è universalmente riconoscibile, quindi il Buono è oggettivo. (…) Applicando alcune regole all’esperienza gastronomica noi siamo in grado di esprimere un giudizio, e di farlo con un alto grado di oggettività: questo perché si tratta di regole universali, cioè applicabili ovunque, a tutte le cucine del mondo.»
Se «fare critica significa distinguere ciò che è sottoposto al gusto personale da ciò che è oggettivo, e di conseguenza restringere al massimo la sfera individuale» allora «gli imperativi di chi vuole giudicare e quindi capire il cibo sono: assaggiare, studiare, fare domande e comparare». Analogamente, «per arrivare il più possibile vicini all’obiettività, è fondamentale conoscere il resto del mondo, altri popoli e altre abitudini alimentari. (…) Le 7 regole per riconoscere la buona cucina (…) si rifanno all’esperienza gastronomica nella sua interezza e riguardano un’intera cultura di riferimento. Ciò comporta un passo in avanti nella ricerca di un giudizio oggettivo, condivisibile da tutti, perché la percezione dei sapori, cioè il gusto – che possiede di per sé un certo grado di individualità e quindi di soggettività – costituisce solo una minima parte del giudizio complessivo dell’esperienza gastronomica.»
Ecco dunque quali sono – in estrema sintesi - le 7 regole per riconoscere la buona cucina secondo Roberta Schira.
1. Ingredienti
Saper scegliere il meglio che offre il mercato, soddisfacendo i requisiti di qualità e freschezza.
Le cose sono buone quando hanno il sapore di quello che sono.
2. Tecnica
Saper manipolare e trasformare la materia in piatto finito nel rispetto della sua essenza, della tradizione e della scienza.
La conoscenza della chimica e della fisica affianca la tradizione per costituire le fondamenta tecniche sui cui si reggono le conoscenze di un cuoco; che sia esecutore e voglia fare cucina tradizionale o che voglia abbracciare l’avanguardia, quelle regole le deve conoscere come l’alfabeto.
3. Genio
La capacità di trasformare il passato in qualcosa di nuovo cambiando strada.
Tanto è fondamentale per qualsiasi artigiano seguire regole e tecnica, quanto per il genio è andare oltre le regole e i canoni.
4. Equilibrio/Armonia
Il senso di armonia con se stessi e il mondo durante l’esperienza culinaria.
Per una ristorazione che punta all’esecuzione perfetta, l’equilibrio va inteso come “non predominio” di alcun elemento. Quando invece si sale verso l’alta cucina o si tocca la cucina d’avanguardia, il concetto di equilibrio acquista una sfumatura che lo nobilita, diventa armonia: ricomposizione delle dissonanze.
5. Atmosfera
L’insieme di dettagli che fa dire «mi sento bene qui».
L’atmosfera è fatta di luci, arredo, gente, odori, suoni, servizio, e poi qualcosa d’altro che non è spiegabile.
6. Progetto
Nascondere dietro un piatto, un luogo, l’idea di un proiettarsi avanti.
Si può avere un progetto su larga scala oppure regionale, oppure che coinvolga un paese o un quartiere. Non ha importanza la potenza economica che viene mossa: ciò che conta è che si intraveda dietro ciò che viene servito, un pensiero alto e sottile che va oltre il gusto, il prezzo, le calorie. Il cibo non si racconta in numeri.
7. Valore
Ciò che crediamo sia giusto dare in cambio dell’esperienza gastronomica che abbiamo vissuto.
Quello che ho pagato per questa cena è proporzionale a ciò che ho ricevuto in buona cucina, attenzioni, benessere e pensieri?
A fine libro le 7 regole sono tradotte in una scheda che l’autrice invita a stampare e compilare ogni volta che il lettore va al ristorante per analizzare, con un voto da 1 a 10, in che misura quel locale ha risposto alle singole regole. Ovviamente, maggiore sarà la somma dei voti , più “alta” sarà la cucina del ristorante. «Mi piacerebbe che i lettori, gli appassionati, così come colleghi, ristoratori e addetti ai lavori mettessero alla prova le mie 7 regole ed eventualmente formulassero le loro», scrive Roberta Schira. «Tutto ciò rappresenterebbe finalmente l’inizio di un dibattito su una materia considerata effimera e soggettiva per eccellenza: il giudizio sull’esperienza gastronomica.»
Il sasso è stato lanciato.