Il 2017 è stato l’anno magico di Franco Pepe. A luglio Pepe in Grani ha conquistato la prima posizione dei 50 Top Pizza. A seguire la sua pizzeria di Caiazzo - 5500 abitanti in provincia di Caserta - ha ricevuto tre spicchi nella Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso, così come La Filiale, il locale che ha aperto a Erbusco in collaborazione con il resort Albereta.
Abbiamo avuto l’opportunità di incontrarlo in due momenti diversi. La prima a ottobre a Ein Prosit, la manifestazione enogastronomica del tarvisiano in cui Pepe era protagonista, al pari di altri chef stellati, di una delle cene. La seconda a dicembre lì dove tutto è nato, la pizzeria che ha aperto in uno dei vicoli del paesino di Caiazzo dove ora, ogni sera, si forma una coda di almeno un paio d’ore. Non è facile trovare il modo di fare un’intervista completa con Franco: c’è sempre qualcuno che gli chiede un autografo o un selfie, qualcuno che gli fa un complimento o vuole semplicemente stringergli la mano.
Lei hai raggiunto un livello di celebrità che, fino a qualche anno fa, era impensabile per un pizzaiolo.
Il successo locale c’era già ai tempi di mio padre. La gente faceva già ore di fila per entrare nella sua pizzeria, che aveva aperto nel 1961, ma nessuno ha mai scritto niente su di lui. Io sono arrivato nel momento giusto e ho saputo coglierlo. Ricordo gli inizi: il lunedì, unico giorno libero, guidavo fino all’Open Colonna di Roma con due secchi di impasto e facevo serate presentando la mia pizza. È lì che ho conosciuto chef come Massimo Bottura. Nel 2011 ho capito che era giunta l’ora di separarmi dai miei fratelli e mettermi in proprio.
Qual è l’idea con la quale è partito?
Ho sempre cercato di dare un significato diverso alla pizza. Una pizza ragionata, diciamo. Valorizzando il mio territorio: voglio che i clienti sappiano che dietro ogni fetta c’è il lavoro dei produttori.
Foto: Damiano Errico
Come si mantiene l’artigianalità con i numeri che crescono?
Grazie alla squadra. Io ho 140 coperti e faccio circa 700-800 pizze a sera. Sono partito con 7 persone, ora ne ho 35. Ho deciso di fare formazione sul gruppo e non sul singolo. Ho cercato di scomporre un po’ la figura del pizzaiolo e tirare fuori il meglio da ogni ragazzo. Ha un approccio sensoriale? Sa stare al forno? È bravo con gli impasti? Tutti insieme riproducono la mia filosofia di pizza. Una sera abbiamo fatto 1050 pizze in quattro ore e mezza. Abbiamo festeggiato: è stata una musica, il fluire ritmico del saper fare dell’uomo.
Foto: Luciano Furia
Ha mai pensato di trasferire la sede principale fuori da Caiazzo?
No. Aver ottenuto quello che ho ottenuto partendo proprio da qui è importantissimo. Ho detto sì solo a L’Albereta perché è un luogo storico, dove ha lavorato Gualtiero Marchesi, ed è un onore esserci dentro. E poi è un posto bellissimo, mi rilassa. Ma io rimango qui.
Dove tra l’altro ha appena inaugurato un nuovo progetto, Authentica.
Sì. Una stanzetta per degustazioni e lezioni private. Io e massimo 10 ospiti, seduti al bancone davanti a me, per interagire e dialogare sulla pizza. Non un semplice chef’s table, bensì un ricordo del banco di legno di papà da cui parlava con i clienti, dava il resto, faceva le pizze, guardava il forno. Il contatto umano è importante e in pizzeria si sta perdendo. Ne soffrivo e così ho creato Authentica: ho già prenotazioni da tutto il mondo.
Foto: Caracciolo
Su cosa sta lavorando dal punto di vista “tecnico”?
All’Albereta ho lavorato sul grano monococco - Triticum Monococcum - per creare la pizza nativa con pomodoro, hummus di avocado, ceci di Cicereale e germogli di rucola selvatica. Sto anche lavorando su un impasto con un blend di 50% legumi. Mi interessa molto il discorso della digeribilità, dello spostare l’asticella dal buono al sano è difficilissimo. A questo proposito collaboro anche con dei ricercatori universitari: io do la parte sensoriale e loro mi danno le certezze tecnico-scientifiche. E sono riuscito a creare un menu degustazione fatto solo di pizze fritte.
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