«Cosa significa cucinare?» A pensarci bene, non è una cosa facile come accendere il gas, ed è di questo che il famoso chef Ferran Adrià ha voluto discutere all'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in Piemonte, fondata nel 2004 da Slow Food. L'università non insegna a cucinare ma forma i suoi studenti perché diventino gastronomi in grado di esplorare gli aspetti filosofici della gastronomia e temi come tecnologie, produzione e sostenibilità. Il luogo ideale per una lezione di Adrià sul significato del cucinare.
«Ho sempre pensato che cucinare comprendesse per forza l'elemento del fuoco. Ma quando prepariamo un sorbetto di lamponi, dovremmo evitare di parlare di cucina perché non usiamo il fuoco?» ha chiesto Adrià alle centinaia di studenti radunati per sentirlo parlare.
Lo chef ha spiegato che il problema ha origine nel linguaggio. Il significato della parola 'cucinare' corrisponde a 'preparare pietanze combinando, mescolando e scaldando gli ingredienti'. In qualunque manuale culinario, la cucina è categorizzata a seconda dei diversi metodi di cottura: bollire, cuocere a fuoco lento, arrostire, cuocere al forno, grigliare, saltare, friggere, e persino cuocere nel forno a microonde. È una questione complessa, e Adrià è convinto che non ci si debba fermare a queste nozioni. Secondo lui, c'è una distinzione chiara tra le tecniche di cottura da una parte, come grigliare il prosciutto, e la manipolazione degli ingredienti dall'altra, che si usa per esempio quando si prepara un guacamole.
«E se qualcosa è fermentato o distillato, che termine bisogna usare? Non si tratta di un metodo di cottura e nemmeno di una manipolazione. Il problema è intricato».
Adrià ha confessato di aver cercato la risposta a questa domanda in un numero infinito di libri, compreso La fisiologia del gusto di Jean Anthelme Brillat-Savarin. Ha detto anche di aver conosciuto la noia della cucina, finché lentamente e per caso non ha scoperto la creatività, e la sua vita «ha iniziato ad avere un senso».
Ascoltando il grande chef parlare con tanta passione dell'essenza della cucina, si comincia a intravedere la vastità della sua curiosità insaziabile. Durante i due decenni della sua attività nelle cucine di elBulli, Adrià ha raggiunto la fama internazionale creando piatti che sembravano sottrarsi alla forza di gravità e a qualunque precedente nozione culinaria. «Ciascuna delle 2.000 persone che sono passate da elBulli ha dato il suo contributo. elBulli non è stato solo un ristorante, era un modo di vedere la vita. Passione. Libertà».
Adrià ha ricordato al suo uditorio che molti degli chef più famosi di oggi si sono formati proprio lì: Grant Achatz, René Redzepi, Joan Roca e Alex Atala, per fare solo alcuni nomi. Come mai tutti quanti hanno voluto lavorare a elBulli? Per la creatività e l'innovazione. Sono queste le due parole che definiscono la carriera di Adrià. «Quando insegno ad Harvard, non insegno cucina, insegno innovazione», ha dichiarato lo chef alla stampa prima di iniziare lo speech.
Siccome l'innovazione è qualcosa a cui tiene molto, Adrià ha fatto del suo meglio per trasformare quello che è stato elBulli nelle fondamenta della Fondazione el Bulli, un think-tank dell'innovazione gastronomica. Gli chef si sono anche fatti carico dell'importantissimo compito di costruire la prima enciclopedia culinaria online del mondo, che si chiamerà Bullipedia. Anche fuori dalla cucina, Adrià continua a determinarne la forma.
È facile ammirare i suoi successi, ma lui mette tutti in guardia: «Non dovete voler essere Ferran Adrià. Siate semplicemente felici. Non ponetevi un simile obiettivo perché nessuno lo raggiungerà. I cuochi più felici che conosco non guidano un ristorante con tre stelle Michelin».