Piccolo, giallo, profumato. Date questi tre indizi a chiunque e di certo vi risponderà: “limone!”. Si tratta di uno dei frutti più diffusi e conosciuti, per via del suo utilizzo in tutte le cucine del mondo. È per questo che conosciamo tutti così bene le sue caratteristiche organolettiche e le sue proprietà. Ciò che invece molti ignorano è che il limone rappresenta un piccolo laboratorio chimico, che oggi andremo a visitare.
Innanzitutto, il limone è un agrume, che recenti studi genetici fanno risalire a un incrocio tra arancio amaro e cedro. Questo sarebbe confermato anche dalla storia del frutto, che è recente: si inizia a parlarne in modo ufficiale, infatti, solo durante la dinastia Song, tra il 960 e il 1279. Un giovincello, considerando quanto antichi siano gli agrumi!
Pensando invece all’aspetto di un limone, la prima cosa che ci viene in mente è il suo bel colore, quel caratteristico giallo che ci ritroviamo spesso anche sulle t-shirt più vivaci. Il punto è che un limone acerbo in realtà è… verde. Dipende dal fatto che in questa fase d’immaturità il colore del frutto è dato dalla sola clorofilla, che è appunto
verde. Con la maturazione, si sviluppano i carotenoidi, un gruppo di molecole dal colore arancio-giallo. Quelle del limone, non a caso, sono le più gialle: si tratta del carotene e della cryptoxanthins. Un buon modo per verificare che un limone sia maturo, e dunque con un sapore più delicato e con più succo, è accertarsi che il suo colore sia di un bel giallo intenso. Anche in questo caso, tuttavia, un morso al frutto, o un sorso del suo succo, risulteranno comunque molto acidi.
Una considerazione banale, ma vi sorprenderà scoprire che solo di recente gli scienziati hanno stabilito la vera origine di questa acidità. Il merito va alla capacità del limone di “pompare” ioni idrogeno, che come la chimica di base ci insegna sono gli indicatori di un’elevata acidità.
Ma perché il limone ha bisogno di essere così acido, al punto che il suo pH può scendere fino a 2? Pare che sia un escamotage per combattere microorganismi e predatori. Del resto, il succo si utilizza spesso come conservante, quindi il frutto è una sorta di auto-conservante. Avrete notato, infatti, che difficilmente un limone marcisce. Tende, invece, a seccarsi: merito della sua acidità.
Questo mix di colori sgargianti e sapore acceso, rendono il limone un frutto unico e molto utilizzato sia nelle preparazioni salate sia dolci. Ma poche gli rendono giustizia come un’eccellente marmellata, che tra l’altro è un modo goloso di imparare la scienza che sta dietro a questo frutto.
Marmellata di limoni: la ricetta
Per prepararla vi serve un chilo di limoni naturali, non trattati, e possibilmente di tipo “Sorrento”, che hanno una polpa più spessa e dolce. Poi vi servono 600 grammi di zucchero e un po’ d’acqua.
Spazzolate la buccia dei limoni mentre li lavate, poi asciugateli e tagliateli a fette molto sottili, eliminando i semi. Ponete le fettine in una ciotola, riempitela d’acqua e mettetela in frigo per 24 ore. Fatto questo, scolate il limone e ripetete l’operazione con altra acqua. Dopo aver scolato di nuovo le fettine, mettetele in una pentola, copritele con acqua pulita, e portate a ebollizione, mantenendo poi la bollitura finché evapora circa metà dell’acqua. Aggiungete lo zucchero, e mescolate, quindi lasciate cuocere per un’ora e mezza, mescolando di tanto in tanto. Al termine spegnete e versate nei vasetti sanificati, seguendo la procedura classica che si utilizza con qualsiasi marmellata o conserva.
Oltre a ritrovarvi un dessert eccellente, avrete una dolce scusa per mettere in pratica quanto imparato. Il colore? Merito dei carotenoidi! Il sapore? Merito dell’acidità del frutto! La densità? Merito della pectina, un carboidrato di cui è ricca la buccia del limone e che si utilizza come addensante naturale. A voi, non resta che pensare al pane e al burro.