Due chef e dieci dita: la storia potrebbe essere quella prevedibile, sicuramente già vista, delle cene a 4 mani. Ma a Vicenza, nella profonda provincia veneta è nato qualcosa di nuovo che segna la fine di un’epoca: il giovane chef stellato Lorenzo Cogo lancia Infusion, nuovo format che scompiglia la liturgia del 4 mani e porta in tavola una cena che è davvero un evento.
Piatti completamente nuovi, cucinati lì per la prima e unica volta. Per farlo, ha chiamato al debutto dell’iniziativa lo chef giapponese Yasuhiro Fujio, vincitore di S.Pellegrino Young Chef 2018. La prossima tappa sarà presto con la chef Ana Roš del ristorante Hiša Franko a Caporetto, in Solvenia.
Se vi state chiedendo quale sia stato il primo risultato, la risposta è chiara: un successo.
La maturità dell’enfant prodige
Lorenzo Cogo sembra ancora un ragazzino, ma gastronomicamente parlando è di certo maturo. Dopo aver viaggiato tanto ha un’unica consapevolezza: “Solo aprendo le frontiere e i confini potremo diventare chef e persone migliori”.
In Italia di questi tempi sembrano parole sovversive, ma la politica non c’entra: l’intento di Lorenzo è infatti quello di creare cooperazione e dialogo tra cuochi di paesi diversi, per generare un confronto costruttivo su ingredienti, tecniche e filosofie di cucina. È nato così il progetto Infusion, format basato su cene a 4 mani con chef internazionali. Molto diverse dal solito.
Situazionismo culinario
“Non c’è niente di mio, non c’è niente di suo” - spiega Lorenzo Cogo agli ospiti della prima cena di Infusion a fianco di Yasuhiro Fujio - “per due giorni abbiamo girato per mercati, mangiato baccalà alla vicentina, bevuto buon vino, visitato il Teatro Olimpico, e studiato”. Nel vero senso della parola, perché a Vicenza ha sede la Biblioteca Internazionale La Vigna, la più grande raccolta di libri di cucina d’Italia.
“Siamo stati insieme, ma non abbiamo avuto tempo di pensare, di provare, di produrre i piatti che mangerete, come si fa di solito in un ristorante. Abbiamo solo cucinato, e tutto quello che mangerete è one-shot”.
L’idea di Infusion è proprio questo: creare un momento di condivisione e nuovi stimoli, aspettando che il feeling fra i due cuochi sfoci in un menù estemporaneo. A scatola chiusa per gli ospiti ma soprattutto per i cuochi stessi: “Ieri in cucina non c’era nulla, in una giornata abbiamo realizzato nove portate – spiega Yasu – speriamo che vi piacciano!”.
La coda lunga delle cene a 4 mani
Di solito le cene a quattro mani funzionano sempre nello stesso modo: un solo menù in cui i piatti di due chef si alternano fra loro, in una sequenza il più possibile armonica. Gli chef presentano i propri signature dishes, si portano in valigia il più possibile da casa e cercano di offrire almeno un assaggio del proprio lavoro (che risulta però quasi sempre sbiadito rispetto all’originale).
Lavorare in trasferta non è facile, ma le cene a 4 mani servono anche per farsi conoscere e per lavorare durante le chiusure del ristorante: dal punto di vista degli chef è un modo per viaggiare, incontrare nuove persone, luoghi, tradizioni.
Peccato però che nel piatto, arrivati al momento della cena, di tutto questo finisca ben poco. Gli “effetti” di queste esperienze si vedono di solito a distanza di mesi, quando tecniche e idee riemergono nei nuovi piatti del menù una volta tornati a casa. Qualcosa che gli ospiti della “cena a 4 mani”, insomma, non avranno mai occasione di provare in prima persona.
La serata jam session
In questo caso, invece, il menu è un vero e proprio cortocircuito fra Giappone e Italia, sia in termini di tecniche che di ingredienti. Si comincia con il Chawanmushi, la panna cotta giapponese a base di dashi, che però per una sera non viene realizzato con del kastuobushi ma con lo stoccafisso, icona della cucina vicentina.
Diventa una entrée con piccoli zotoli, ‘nduja calabrese piccante e olio al timo. La classica minestra di riso della nonna, ricordo di infanzia di Lorenzo, diventa una vellutata di cavolo nero e tartufo nero in cui tuffare uno yaki onigiri. Da mangiare con il cucchiaio.
Chawnmushi, zotoli, 'nduja, timo | Vellutata di cavolo nero e tartufo nero, yaki onigiri | Sgombro marinato, aglio nero, levistico
I gyoza piastrati arrivano ripieni di quinto quarto di piccione, anzi meglio dire di Torresano, in dialetto veneto, come vuole la tradizione vicentina. Il kobe incontra i cardoncelli e il Parmigiano, l’hot pot giapponese, il sukiyaki, si arricchisce di verdure italiane. L’insalata di contorno finisce arrotolata in un involtino di carta di riso, da mangiare con le mani e da intingere in una salsa al kiwi.
Kobe, cardoncelli, Parmigiano
Gyoza di quinto quarto, barbabietola | Bouquet di verdure, kiwi, shiso | Sukiyaki d'ostrica
Per dessert giocano con un gelato alla nocciola e bacon servito con del topinambur e caffè.
Melone bianco, pepe Timut, limone, crescione | Topinambur, nocciola e bacon, caffè
Dall’amuse bouche alla piccola pasticceria è tutto frutto di una sola giornata di lavoro, di ricette antiche lette sui libri della biblioteca, di sapori assaggiati nei giorni precedenti che diventano altro. Unico piatto con una storia alle spalle, Sgombro marinato, aglio nero e levistico, un’idea liberamente ispirata al piatto Across the sea con cui Yasuhiro ha vinto la competizione S.Pellegrino Young Chef nel 2018.
Non resterà altro di questa serata? Un’amicizia e tante idee, che sopravvivranno per sempre nel menù di El Coq e nei nuovi piatti di Yasu.
Tutte le immagini di Lido Vannucchi