L'Australia, per noi italiani, è l'immagine di tutto ciò che è lontano: l'altra parte del mondo, il far far away, gli antipodi simbolici dove, negli ultimi decenni, migliaia di italiani hanno scelto di trasferirsi. Uno di loro è Luca Ciano, milanese di nascita ma ormai cittadino australiano, che in Australia ha esportato ciò di cui andiamo più fieri: la nostra cucina. Dopo esperienze in hotel di lusso e ristoranti in giro per il mondo, si è trasferito a Sydney, dove svolge attività di consulenza per diverse realtà.
Fine Dining Lovers l'ha incontrato in occasione di un evento a Eataly Milano, organizzato proprio per far conoscere la cultura gastronomica australiana - e smontare non tutti, ma almeno qualcuno, dei pregiudizi che ci portiamo dietro.
Quando ha cominciato a fare il cuoco, ma soprattutto quando ha iniziato a viaggiare?
La prima stagione estiva l'ho fatta a 15 anni. Quando ne avevo 18 un collega mi ha proposto un lavoro a Londra e sono partito: ero giovane, curioso, non volevo limitare le mie esperienze - e dovevo imparare l'inglese! Vengo da una famiglia piccola e modesta, ma i miei genitori non mi hanno mai fermato, si limitavano a dirmi "Fai le cose fatte bene". E io l'ho sempre fatto, mi sono divertito come tutti i ragazzi della mia età che vivevano all'estero ma ho sempre messo la carriera al primo posto. A 21 anni sono andato alle Bermuda, a 23 anni in Australia, poi di nuovo a Londra: insomma, non mi fermavo mai. Alla fine, però, mi sono stabilito a Sydney con mia moglie che è australiana.
Facciamo subito la domanda d'obbligo per gli italiani espatriati: cosa le manca del suo paese dal punto di vista gastronomico?
Fino a qualche anno fa a causa delle leggi sull'importazione non si trovavano tantissimi prodotti, dai formaggi non pastorizzati al prosciutto con l'osso. Potevano entrare solo mortadella e prosciutto crudo e cotto. Ora le cose stanno cambiando, anche se tuttora alcuni prodotti - come la fontina, ad esempio - non si trovano nella grande distribuzione, ma solo in pochi negozi specializzati. Sicuramente quello che mi manca è la varietà: non vedo l'ora di tornare a Milano per addentare i miei salami preferiti, che trovo solo lì.
E la situazione della ristorazione italiana com'è? In Australia l'immigrazione italiana è stata, e continua ad essere, molto numerosa.
È molto interessante visitare le comunità italiane che si sono formate nelle città australiane: la maggior parte degli emigrati è qui da molti decenni e ha conservato le tradizioni, la musica, il dialetto e ovviamente la cucina degli anni Cinquanta e Sessanta. Nei ristoranti troviamo quindi pasta, polpette, arrosto, gnocchi. Una tradizione di stampo prevalentemente meridionale, perché quasi tutti vengono dal Sud.
Ma ci sono posti che lei si sentirebbe di consigliare a un vero italiano?
Spesso troviamo una visione "bastardizzata" della nostra cucina, perché non l'hanno mai sperimentata davvero, e propongono la carbonara con la panna o il risotto con il riso scotto. Ma adesso comincia ad avanzare una nuova generazione, ragazzi sui 20/30 anni, che si trasferiscono in Australia con tanta esperienza e voglia di "fare le cose bene".
Com'è la situazione gastronomica generale dell'Australia?
Entusiasmante. La fascia di ristorazione alta si sta allargando e ci sono sempre più ristoranti che, in Europa, equivarrebbero a un due/tre stelle Michelin. Con una differenza: l'atmosfera è più allegra e informale. E poi sanno fare sistema, ci sono tante realtà piccine che mettono insieme forze e prodotti. Qui in Australia ci si conosce tutti! Poi, appunto, anche i prodotti importati sono aumentati. Di numero e di qualità: prima dall'estero venivano esportati solo prodotti scarsi, con la presunzione che gli australiani non capissero niente.
E i prodotti australiani, invece?
Sicuramente amo utilizzare il pesce: economico, fresco e vario. Adoro la ricciola del Pacifico e le uova di salmone che si trovano qui. Un altro prodotto imprescindibile da conoscere è il lime caviar. In generale apprezzo la varietà dell'offerta, qui si trovano tutti i tipi di spezie e frutti asiatici e c'è grande apertura mentale verso il "diverso". In Australia un ragazzino di 20 anni ha mangiato tutti i tipi di cucina: thai, francese, vietnamita. In Italia ha provato solo la cucina di mamma, al massimo il fast food.
E se dovesse consigliare dove e cosa mangiare a un italiano che si appresti ad andare in viaggio in Australia?
Le esperienze gastronomiche irripetibili sono tante, e più che sul cibo sono focalizzate sul territorio: una cena nell'outback al tramonto o un pranzo a base di pesce appena pescato su una delle nostre spiagge caraibiche. E se proprio non potete rinunciare a mangiare nostrano, non temete: ci sono molti locali che propongono un "fusion" italiano, con uno stile moderno che valorizza i prodotti locali.