Lo abbiamo lasciato con un addio, quello al Trussardi alla Scala, dove Luigi Taglienti era arrivato due anni prima. In Piazza alla Scala aveva messo a punto una delle cucine migliori di Milano, a detta di appassionati e critici - si guardi, per esempio, al primo posto nella guida I Cento del 2015. Poi, a settembre, la notizia del divorzio dal ristorante: allora lo chef non aveva spiegato i motivi della separazione, mentre il ristorante aveva accennato a un allontanamento, augurandogli buona fortuna.
Benché non sia ancora stato comunicato ufficialmente, oggi Luigi Taglienti è a capo delle cucine di Palazzo Parigi. Fine Dining Lovers, però, ha voluto riprendere il discorso là dove lo chef l'aveva lasciato per dare uno sguardo al futuro: dal suo addio al Trussardi, al ritorno all'essenza della cucina.
Ci parli della fine del suo rapporto con il Trussardi alla Scala.
Ho deciso io di lasciare la struttura, e la proprietà era ovviamente a conoscenza di questa decisione da luglio. Poi ho dato la mia piena disponibilità a restare fino a quando ce ne fosse stato bisogno. Tornato dopo un'esperienza negli USA ho detto definitivamente addio a Piazza alla Scala. Sentivo di essere alla fine di un percorso: dopo Andrea Berton, chef che ammiro e rispetto, ho costruito un nuovo modo di fare cucina al Trussardi alla Scala, che ha ricevuto molti consensi. Ultimamente sentivo però di non riuscire più a crescere; dietro il ristorante c'è sempre stata una proprietà attenta, ma gli step da fare per qualsiasi cambiamento erano comunque lenti e difficoltosi. Mi sarebbe piaciuto anche coltivare una dimensione più internazionale e rendere più contemporanea la sala, e purtroppo non è stato possibile.
Secondo lei non aveva la visibilità necessaria?
Io non sono uno chef mediatico e non ho mai voluto esserlo. Credo che troppa visibilità sia dannosa quasi quanto la sua completa assenza: non sono su Facebook né su Twitter perchè ho sempre avuto l'impressione che condividere una foto di un piatto, o le proprie idee, significasse strillare e imporre la propria presenza. Ho sempre preferito parlare attraverso le interviste o gli articoli scritti da altri. Sicuramente mi sarebbe piaciuto ricavare un mio spazio, e forse lì non era più il posto giusto per farlo.
Al suo posto adesso c'è il suo ex sous chef Roberto Conti: siete rimasti in contatto?
No, non ci siamo più sentiti dopo che me ne sono andato, ma trovo che sia giusto così. Lui ha lavorato molto bene, e sono contento che sia rimasta traccia del mio lavoro.
Su cosa sta lavorando adesso?
Sulla ricerca dell'essenza. Stiamo eliminando il superfluo dai piatti e stiamo cercando di valorizzare solo il prodotto, la tecnica - che però non si vede - e il neoclassicismo, discorso di cui iniziavo a parlare anche al Trussardi. Come sempre il mio lavoro non si ferma mai.
C'è una formula che le piacerebbe proporre nel suo prossimo ristorante?
Mi piacerebbe proporre alcuni piatti "per pochi" e, dall'altra parte, proporre un menu improntato sulla tradizione, con piatti classici della cucina italiana fatti come si deve. Quando parlo di cucina per pochi intendo che mi piacerebbe avere la possibilità di proporre piatti estemporanei, mangiati da pochissime persone o chissà, anche solo da una. I piatti tradizionali italiani fatti bene, d'altro canto, non devono essere dati per scontati: lo spaghetto al pomodoro è il metro di paragone per tutto, se riesci a farlo perfetto hai vinto.
Un piatto al quale sta lavorando?
Anguilla, limone verde e pepe nero selvatico: un piatto che sulla carta ha una grande acidità, ma che poi risulta equilibratissimo.
Dopo il suo addio al Trussardi alla Scala ha mai pensato di andare all'estero?
Ci ho pensato, ma c'è qualcosa che mi tiene legato all'Italia; non posso pensare di andare via senza essermi espresso al meglio e aver segnato la cucina italiana.