“Abbiamo dato una nuova qualifica a tutto il personale: i ragazzi di sala ora sono dei rider. Così si fa di necessità virtù, ma soprattutto si salva l’attività. Crediamo nel nostro lavoro, lo facciamo per passione, e questa è la premessa importante a tutto, che va oltre i numeri”.
Con una lucidità e un’umanità quasi disarmanti, Luca Ballabio commenta così la decisione della sua azienda di reinventarsi nel momento dell’emergenza Coronavirus. Parla con la consapevolezza di un capitano di lungo corso, ma ha solo 27 anni.
Con i soci Filippo Sironi e Gianmarco Venuto, entrambi trentenni, lo scorso giugno ha fondato a Milano Il Mannarino, macelleria con cucina ispirata ai tipici fornelli pugliesi, dove si sceglie la carne dal bancone e si griglia a vista. Il regno di bombette, arrosticini e polpette, che ha raddoppiato la proposta con una seconda location cittadina, inaugurata a dicembre.
La conversione del personale come modello sostenibile
Il loro è un esempio virtuoso - e vincente, visti i numeri che fanno - di come alcune attività della ristorazione stiano affrontando questo difficile momento di stallo, ricorrendo a soluzioni alternative e a nuovi format (qui vi abbiamo raccontato l’approccio che sta traghettando i ristoranti verso la “fase 2”, tra delivery, formule inedite e ghost kitchen).
Fermarsi di fronte al lockdown o scommettere su un nuovo modello di business? I tre giovani soci hanno optato la seconda ipotesi, con entusiasmo e convinzione. “Per realizzare il servizio Mannarino a casa tua, abbiamo sviluppato un e-commerce in meno di 72 ore”, raccontano. Ottenendo un risultato eccellente - aggiungiamo noi - visto l’ottimo posizionamento su Google.
Puntare sulla macelleria e sulla consegna a domicilio di carne selezionata, oltre ai consueti piatti di gastronomia, per loro ha rappresentato la svolta. “Il 16 marzo abbiamo iniziato col delivery ed è stato subito un boom di richieste”, racconta Ballabio. Come è stato organizzato il lavoro? “Il personale di cucina si è unito al team dei macellai che avevamo, mentre quello di sala è stato convertito: ora una parte di loro si occupa di e-commerce in ufficio, un’altra prepara i pacchetti e un’ulteriore parte li consegna. Usiamo il nostro locale di via Tenca - al momento chiuso - per la logistica, e poi abbiamo un laboratorio di produzione”, prosegue.
Come è stato il passaggio al nuovo assetto lavorativo? “Abbiamo sempre avuto un prodotto semplice, di cucina tradizionale, siamo fondamentalmente macellai e non ristoratori, il che ha reso facile questa trasformazione”. Il nuovo business, cominciato a Milano e ora attivo in tutta Italia per la consegna della carne fresca sottovuoto, è letteralmente esploso. “Siamo cresciuti al punto che abbiamo addirittura dovuto assumere nuovo personale per soddisfare le richieste: il nostro staff di partenza è composto da 45 persone, e ne abbiamo assunte altre 40”, precisa Ballabio. “Attualmente ci sono 15 ragazzi in produzione, altri 30 tra uffici e preparazione pacchi, mentre il resto è costituito da rider che fanno le consegne”, precisa.
In un momento storico in cui il mondo della ristorazione si unisce per fare appelli al Governo, per evitare di licenziare i propri dipendenti, i tre giovani titolari de Il Mannarino rappresentano davvero un’eccezione, in totale controtendenza: “Sappiamo di essere tra i pochi che hanno assunto in questo frangente: è una delle cose di cui siamo più soddisfatti, l’obiettivo era salvare posti di lavoro e lo è tuttora”, commentano.
Boom di consegne a domicilio: il successo del Mannarino
Le cifre parlano chiaro: il loro è un successo che si traduce non solo in un traguardo etico, ma anche in un fatturato mensile che si attesta attorno ai 700 mila euro (il doppio rispetto a marzo) e una media giornaliera di 600 consegne solo su Milano, con la previsione di raggiungere i 1.000-1.200 delivery al giorno. “Il valore medio di un ordine è di 45 euro, abbiamo mantenuto i prezzi aggressivi della macelleria di quartiere”, aggiunge Ballabio.
Come si spiegano i tre millennials questo successo? “È dovuto a tre fattori principali: non si trova carne di qualità in giro, i supermercati fanno fatica a consegnare in questo momento, e poi il brand è forte, le persone si fidano”, rispondono. “È un lavoro che facciamo per la gente, abbiamo una community molto sviluppata che crede nei nostri valori: siamo una macelleria con cucina dedicata ai sapori del Sud che riportano a casa, stiamo regalando un pezzo di Bari a chi in questo momento è bloccato in un bilocale a Milano, e in tutta Italia”.
Ma come hanno reagito i dipendenti a questa evoluzione del lavoro? “Per qualcuno ha significato fare un passo avanti come responsabilità, come ruolo. Abbiamo voluto creare qualcosa in cui credere: i ragazzi sono tutti entusiasti, perché non stanno a casa, nonostante lavoriamo in un ambiente che è chirurgico, con mascherine, guanti e distanziamento. Nel momento in cui i colleghi di altri ristoranti sono in cassa integrazione, i nostri dipendenti stanno addirittura facendo gli straordinari. Certo, c’è gente che si sveglia alle 5 del mattino anziché alle 11 come prima: molti di loro hanno cambiato abitudini e approccio al lavoro, si sforzano, ma sono felici”.
Da cameriere a rider: la parola al personale di sala
Parlando con chi ha cambiato mansione, la conferma non tarda ad arrivare. Basilio Perotti, 28 anni, da una decade lavora come cameriere. Originario delle Marche, dallo scorso anno è in forza al Mannarino. E da marzo ha un nuovo ruolo: lavora come rider dalle 8 alle 10 ore al dì. Effettua circa cinquanta consegne al giorno in macchina, tra il capoluogo lombardo e l’hinterland.
“Ammetto che inizialmente è stato un po’ ‘traumatico’, non tanto il cambiamento di mansione… Più che altro è stato difficile accettare di dover chiudere e fermarsi obbligatoriamente. Poi, per fortuna, abbiamo iniziato con le consegne a domicilio ed è stato un piacere diventare rider: vedere felici i nostri clienti è una soddisfazione”, racconta.
Certo, un po’ di nostalgia del lavoro di cameriere c’è. “Mi manca il contatto diretto con il cliente, anche scambiare quattro chiacchiere: è un aspetto fondamentale per chi sta in sala. Non che adesso quel minimo di scambio, seppur da lontano, non ci sia, ma è ovviamente diverso. Di questo nuovo ruolo mi piace l’idea che sto consegnando un pacco che regala un po’ di gioia a chi è chiuso in casa in quarantena”, aggiunge.
“Ho scoperto di essere molto paziente alla guida, non mi pesa. Bisogna innanzitutto avere passione e amore per il lavoro, in generale: questa è una spinta in più che ti fa apprezzare anche il girare in auto per il delivery”.
In cosa lo ha aiutato il precedente lavoro di cameriere? “Sicuramente nell’educazione e nel rispetto che bisogna avere verso il cliente: anche se non c’è un contatto diretto, dobbiamo comunque presentarci con modi gentili. Inoltre, è fondamentale la capacità di trovare una soluzione a tutto, anche in casi critici”, risponde.
Dal delivery al futuro: un format che resiste nel tempo
L’ambiente di lavoro coeso ha giocato a favore. “Siamo tutti giovani, come una famiglia: è stato facile accettare il cambiamento”, spiega Perotti. “Per il futuro? Mi adatterò, se penso alla situazione attuale non posso lamentarmi: molti colleghi, come il mio migliore amico, ora sono in cassa integrazione. Mi reputo fortunato perché lavoro in un’azienda che non si è scoraggiata e non si è fatta prendere dal panico, decidendo di intraprendere questa strada: anche noi abbiamo imparato quotidianamente come lavorare al meglio”.
Un nuovo corso che ha messo alla prova (e ha fatto evolvere) professionalmente sia titolari sia dipendenti: una rivoluzione inaspettata che non ha risparmiato nessuno e che ha rappresentato una crescita. “Si tratta della terza dimensione del Mannarino e non vogliamo abbandonarla dopo il Coronavirus: noi abbiamo creato questo modello durante il lockdown, ma non per il lockdown. Anche in futuro la nostra attività continuerà con le sue tre diversificazioni: macelleria, cucina e delivery”, conclude Ballabio.
Si dice che l’intelligenza sia la capacità di adattamento, e questo ne è un esempio lampante: tre giovani titolari, quaranta dipendenti altrettanto giovani e una crescita che si è tradotta nella capacità di gestire l’emergenza, prima ancora di tramutarsi in sviluppo economico. La sostenibilità e l’etica passano anche da qui.