Marcello Baratella ha un pregio che pochi chef possiedono, specialmente in tempi in cui la percezione del loeo ruolo pubblico si è decisamente amplificata, e nelle interviste sono controllatissimi, sempre nel recinto del politically correct. Marcello Baratella è diretto. Non usa giri di parole nel raccontare la sua carriera ormai quasi ventenale, le sue idee sulla cucina e le luci - ma anche le ombre - del suo lavoro.
Il cuoco pavese è sous chef all'Unico Milano, in cui da inizio 2016 c'è stato il passaggio dalla guida di Felix Lo Basso a quella di Fabrizio Ferrari. Gli abbiamo fatto qualche domanda su questa (relativamente) nuova esperienza, ma soprattutto sulla sua carriera e su un rapporto di lavoro, quello con Ferrari, che è tra i più longevi sodalizi della cucina italiana.
Com'è cominciato il suo percorso in cucina?
Come un tempo cominciavano tutti: dall'istituto alberghiero. A casa mia si mangiava la cucina della tradizione - tagliatelle, gnocchi, ravioli - e avevo già una base solida, ma ho scelto quella scuola anche perché, ai miei tempi, ci andavano molti "scappati di casa"... e io non ero certo uno regolare, uno che aveva voglia di studiare. La passione è subentrata piano piano.
Cos'ha fatto una volta finiti gli studi?
Prima ho fatto le stagioni di rito, poi un bellissimo periodo in Inghilterra. Ho fatto anche molti servizi di catering, un'esperienza che mi ha insegnato moltissimo: ti devi adattare alle situazioni più estreme, ma alla fine impari sempre qualcosa.
Lei e Fabrizio Ferrari avete iniziato a collaborare quasi vent'anni fa.
Sì, proprio con il catering, poi nelle cucine del Gres, al Roof Garden di Bergamo - dove abbiamo preso la stella - e al ristorante della Triennale di Milano: un'esperienza bella ma durissima, facevamo numeri di coperti impressionanti.
Qual è l'insegnamento maggiore che le abbia dato?
Usare la testa: sembra scontato ma non lo è. Inoltre, a differenza della maggior parte degli chef che ho incontrato, Fabrizio ha sempre dimostrato grande professionalità e sincerità nei miei confronti.
Pensa che la situazione sia migliorata o peggiorata rispetto ai suoi inizi?
Decisamente peggiorata. Anche da parte dei giovani: una volta la gavetta era più dura, ma serviva. Oggi fanno un corso, prendono un attestato, e credono di essere già giovani chef. Nelle cucine è fondamentale una gerarchia rigida: se lasci una decina di persone allo stato brado è finita.
Tu hai due bambini. Se un giorno ti dicessero che vogliono fare gli chef?
16 ore di lavoro, la perdita degli amici di lunga data, pochissimo tempo per stare con la tua famiglia? Nessun dubbio: glielo sconsiglierei.