Un giovane riservato Marco Rispo, 30enne e da meno di un anno sous chef di un ristorante bistellato importante nel panorama italiano come Il Piccolo lago .
Marco arriva da Napoli: immediatamente dona un tocco partenopeo alla ricercata cucina di Marco Sacco e del ristorante di Mergozzo. Prima al suo posto un altro talentuoso chef come Paolo Griffa - finalista italiano di S.Pellegrino Young Chef 2015 - che ha lasciato l'insegna piemontese per fare nuove esperienze in Francia.
Marco Sacco incontra Rispo a Expo Milano nel ristorante di CHIC, e subito si innamora della mano del ragazzo, tanto da proporgli di lavorare in un ruolo chiave nel suo ristorante.
Abbiamo intervistato Marco Rispo e gli abbiamo chiesto della sua carriera e di cosa significa essere il braccio destro di uno chef bistellato.
Come inizia la sua carriera?
Un percorso canonico: ho iniziato 14enn e poi ho fatto un po’ di esperienze in tutta Italia, dalla Sicilia alla Valtellina in posti di spessore tecnico e non, giusto per capire come fosse l’Italia. Sono stato in diverse insegne prestigiose fra cui il Don Alfonso 1890.
Come arriva a Il Piccolo Lago?
Non avevo mai avuto il piacere di lavorare in Piemonte; incontro Marco Sacco durante la mia esperienza come chef dello Chic durante Expo Milano 2015. Ci siamo conosciuti meglio e lui mi ha fatto la proposta di lavorare nel suo ristorante. Ovviamente ho accettato.
Su cosa ha lavorato appena arrivato nella cucina di Marco Sacco?
Ho cercato di fare squadra e l'ho fatto attraverso una ricetta. Uno dei primi piatti che ho realizzato si chiama Lo Spaghetto Italia: mi piaceva l'idea di un piatto che abbracciasse tutti. Mi è venuto in mente questo tricolore fatto con ingredienti provenienti da tutta Italia, capace di mettere tutti d'accordo.
È stato un piatto che ha funzionato moltissimo, anche se è appena uscito dalla carta, ma un giorno potrebbe ritornare.
Cosa vuol dire essere un sous chef di un ristorante due Stelle Michelin?
Sicuramente è una posizione di prestigio e le responsabilità sono tante: hai in mano la cucina, coordini le preparazione e gli eventi, gestisci gli ordini e sei il riferimento pratico di chi lavora in cucina. Insomma è un lavoro bello, ma impegnativo.
Come si relaziona con i ragazzi più giovani in brigata?
Noto un certo cambiamento fra la nostra generazione e quella che arriva dalle scuole ora: la realtà della cucina è stata pompata molto dai media. Quando abbiamo iniziato, abbiamo inziato per fame e grazie a quella abbiamo imparato ad andare avanti. La tv, i media e internet ti portano a vedere questo mondo come chissà cosa, in realtà ci sono tante cose belle e anche altre che non lo sono per niente. Insomma è un lavoro duro.
L’errore è dietro l’angolo, l’imprevisto accade; ho l'impressione che questi ragazzi – non tutti per carità – vogliano dedicarsi poco. Certo, li capisco, questo è un mestiere che devi fare rinunciando a una parte della tua vita personale.
Dove si vede fra 10 anni?
Credo che sarò un executive chef in un contesto importante, sempre alta ristorazione, non per forza un contesto patinato. Non credo che avrò un ristorante mio, l'idea non mi solletica, credo sia necessario partire già da una base economica importante.
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