Il nome di Mario Farulla nel mondo della mixology supera abbondantemente i confini non solo della Capitale, dove attualmente lavora, ma anche quelli nazionali. Con il suo lavoro di ricerca e sperimentazione, il bartender ha infatti permesso al Baccano di Roma di entrare nella prestigiosa classifica internazionale The World's 50 Best Bars. Ora l'arrivo al Lobby Bar dell'Hotel Chapter, sempre nella città eterna. Ecco la sua intervista a Fine Dining Lovers.
Quando e come si è avvicinato al mondo della mixology?
Vengo da un mondo che definire diverso è dire poco. Sono stato per circa quattro anni un sottufficiale della Marina Militare, ero quindi un semplice frequentatore del mondo notturno, come tanti ragazzi. Nel tempo iniziai a vedere il lavoro dietro al bancone come un'opportunità di guadagno. Nei fine settima, quando non ero di guardia o in navigazione, stavo sempre in qualche locale con amici. Chiesi allora a qualche indirizzo di poter lavorare. Era per me, non lo nego, anche un modo per combattere la mia timidezza e magari conoscere una ragazza.
E quando ha capito che quella del bartender sarebbe stata la sua professione?
Con il tempo, finito anche il mio precedente percorso, diventò un lavoro a tempo pieno. Mi congedai dalla Marina, presi il mio ultimo stipendio, tutti i miei bagagli e mi trasferii a Londra per fare esperienza a più livello. Furono tutte molto formative, dai bar più mediocri dove si servivano solo shot e pinte di birra, fino ad arrivare a importanti bar di hotel.
Foto Paola Pansini
C’è qualcuno che considera il suo maestro?
Purtroppo e per fortuna non ho avuto qualcuno in particolare che mi prendesse sotto la propria ala per farmi crescere. Se da una parte questo ti pone infatti davanti ad una strada più impervia, la mancanza di una personalità del settore forte accanto, consente alla creatività di fare il proprio corso naturale, di spaziare in libertà. Per me, dal punto di vista dell'approccio, è stato d'ispirazione Stanislav Kaiholomālie Vadrna, tra i primi a proporre un mix tra il garbo del Giappone ed il calore tiki. Dal punto di vista tecnico siamo invece tutti un po' figli dell'Artesian Bar.
Qual è stato il vero “salto” nella sua carriera?
Quando, nel 2016, decidi di tornare in Italia dopo diverso tempo all'estero. Devo dire che un altro momento fondamentale fu il mio ingresso nel Drink Team di Bargiornale. Era il 2018 e vinsi come Barmanager dell'anno. Non avevo mai fatto competizioni e decisi di provare. Lì capì che diverse persone, del settore e non, mi supportavano e mi volevano bene. in ultimo, non posso che citare l'ingresso nella The World's 50 Best Bars. Fu il coronamento del percorso che feci con Baccano. Questo riconoscimento mi permise di girare il mondo, partecipare a serate dietro i più noti banconi, viaggiare di continuo, conoscere personalità di spicco del mondo del bar. Tutto questo praticamente mai nella mia lingua. Fu impegnativo ed entusiasmante al contempo. Non vedo l'ora di poter ritornare a queste esperienze ora interrotte.
Ed ora è arrivato al Lobby Bar dell’Hotel Chapter di Roma. Cosa l'ha colpita di questo indirizzo?
Il Lobby Bar si presenta in maniera completamente differente dagli altri hotel di lusso, tra pezzi d'arte moderna e contemporanea, graffiti. È uno street hotel bar con ingresso indipendente, un concetto ancora poco diffuso in Italia. La stessa drink list che ho realizzato è stata pensata per avvicinare anche un pubblico romano, tendenzialmente abituato a restare fuori dal bar di una struttura che fa ospitalità.
Foto Stefano Delia
Quale filosofia ha impiegato per la realizzazione della drink list del Lobby Bar?
La drink list si chiama Millennials, dedicata quindi a tutti i nati tra il 1981 e il 1994, quindi la mia generazione. Una generazione che ho voluto raccontare attraverso i primi incontri con il ghiaccio, con un concetto di grattachecche, e parte della miscelazione del Duemila, con i suoi best-seller. Alcuni di essi sono cocktail one shot, una proposta che raramente si trova. Ci si sposta poi su scelte più complesse, come i drink Equal parts o le Infinity Jar. Tutti hanno belle presentazioni, minimali, con prezzi accessibili. Ho voluto realizzare cocktail buoni, piacevolmente bevibili, con sapori non estremamente difficili, se non in un paio proposte. I cocktail devono essere vendibili e spesso ce ne si dimentica.
Un cocktail che la rappresenta più di tutti gli altri?
Devo tornare ancora agli anni Duemila, quelli che più di tutti lego ad un ricordo di personale felicità. Il drink a mio avviso più iconico era il Rum & Pera, che anche oggi io realizzo proprio come uno shot.