I primi ricordi che Martina Caruso ha della cucina sono di gioco. Poter stare con il padre chef, pentole e fornelli era solo e unicamente un momento di svago, e la consapevolezza che poteva diventare il suo lavoro è arrivata tardi. Ma lei non cerca di romanzarla aggiungendoci sentori di predestinazione o aneddoti di precoce talento: la 26enne chef dell'Hotel Signum, incastonato nel verde dell'isola di Salina, è il tipo di persona che non spreca nemmeno una parola in più, se non lo ritiene necessario. Come sulla questione delle donne in cucina: "Mi hanno sempre trattato bene. O forse sono io che mi sono fatta valere", afferma decisa.
La Caruso è tra i nuovi chef stellati della Guida Michelin 2016, ma non è il solo riconoscimento che le è arrivato negli ultimi mesi: ha vinto la borda di studio Young Ethical Chef in occasione di Care's e a novembre partirà per il Perù, ("Un sogno che si realizza, è il paese che mi ha sempre incuriosito di più dal punto di vista gastronomico").
L'Hotel Signum è di proprietà della sua famiglia da 30 anni, da quando i genitori - entrambi isolani - hanno deciso di buttarsi e aprire un piccolo albergo da 13 camere.
Lei quando ha capito che quello che voleva fare, nella vita, era cucinare?
Solo verso i 14 anni ho compreso che poteva diventare un lavoro. Mia madre però non voleva che vivessi da sola a Messina, dove c'era l'istituto alberghiero: mi ha proposto di andare in collegio, ma abituata com'ero alla libertà dell'isola come facevo ad accettare? Ho aspettato i 16 anni e sono andata a studiare a Cefalù. Ho iniziato a fare gli inverni lì e le estati a Roma, dove ho lavorato anche da Pipero al Rex e Antonello Colonna. Poi mi sono spostata a Londra per un periodo.
Qual è stata l'esperienza più formativa?
Sicuramente quella da Gennaro Esposito. Anche se lui è campano e io siciliana, è lì che ho ritrovato i sapori della tradizione, " di casa", del Mediterraneo.
Quando ha preso in mano la cucina del Signum?
Da 3 anni mio padre ha fatto un passo indietro lasciando a me la guida, però è lui ad affiancarmi per quanto riguarda "la spesa". Il 70-80% dei nostri prodotti vegetali viene dall'isola, e sicuramente il 100% del pescato tranne il baccalà. È una fortuna incredibile poter vedere dalla terrazza la barca del pescatore e pensare che in quel momento sta prendendo i gamberi per noi. Ovviamente adoro i nostri capperi e li metterei dovunque - è l'ingrediente con cui mi esercito nell'arte del togliere!
L'aggettivo più abusato nei confronti della cucina siciliana è "barocca". Ci si ritrova?
Assolutamente no. Io cerco di seguite sempre una linea di libertà e leggerezza, coerente con la vista di Salina fuori dalle finestre. Noi siamo un ristorante d'albergo, ci confrontiamo con i clienti il giorno dopo, ed è quindi importante pensare anche alla digeribilità.
Nel suo futuro c'è solo Salina?
Direi proprio di sì: nei quattro mesi in cui siamo chiusi viaggio e mi rigenero, ma in futuro spero di lavorare tutto l'anno.