Ci sono esperienze che ti restano nel cuore tutta la vita e la partecipazione al Bocuse d'Or, concorso internazionale per talenti creato dallo chef Paul Bocuse, non può che essere tra queste.
Lo sa bene Martino Ruggieri, il giovane finalista originario di Martina Franca e chef del Pavillon Ledoyen di Parigi (ristorante a tre stelle firmato Yannick Alléno) che ha rappresentato il nostro Paese nella sfida che si è tenuta a Lione durante il Sirha e che ha visto trionfare la Danimarca.
Martino Ruggieri ha raccontato a Fine Dining Lovers le emozioni che ha provato durante la gara e i suoi progetti per il futuro. Lo abbiamo incontrato durante Ego, il Festival della Formazione gastronomica di Lecce che, da pugliese, ha sostenuto con entusiasmo.
Il Bocuse d'Or è una competizione dura. Come si sente dopo questa esperienza?
Sono stati mesi intensissimi, che mi hanno fatto crescere molto. Non è da tutti i giorni poter lavorare per 10 mesi a fianco di chef eleganti come Enrico Crippa. Sono felice di aver partecipato, ma ho molta voglia di tornare alla mia quotidianità. Non sono una star e la mia vita è in cucina, non sotto i riflettori.
Il ricordo più bello che porterà con sé?
L'affetto del pubblico durante la gara. Ero molto concentrato e sotto pressione, ma il calore delle persone a Lione mi arrivava forte come un sostegno indispensabile. Ho sentito tutta l'Italia vicina.
Quali sono le persone che le sono state più vicine in questa avventura?
Lo chef Riccardo Camanini, con cui ho lavorato 2 anni ai tempi di Villa Fiordaliso e che oggi è un amico. Mi chiamava ogni sera per chiedermi come stavo. Attenzione, vorrei sottolineare proprio questo: per chiedermi come stavo, non come fosse andata la gara. Camanini non è solo un grande chef ma una persona di una umanità eccezionale, caratteristica rara e difficile da trovare. Merita 3 stelle per l'umanità.
Qual è stato il suo rapporto con Yannick Alléno in questi mesi?
Yannick è stato il mio primo sostenitore. E' stato lui a volere che partecipassi al Bocuse d'Or perché sapeva che avrebbe fatto bene alla mia carriera. Mi ha colpito perché, negli ultimi mesi, mi ha telefonato quasi tutti i giorni, ovunque fosse: che stesse lavorando a Hong Kong o a Dubai non importava. Voleva che gli inviassi le foto dei piatti e avere aggiornamenti sul lavoro che stavo svolgendo. E' stato un punto fermo che mi ha dato stabilità.
Pensa che queste manifestazioni facciano bene alla cucina e alla gastronomia in generale?
Sì, ma soprattutto mi sono reso conto che hanno fatto bene al nostro Paese. Durante la gara c'erano decine di giornalisti e di televisioni da tutto il mondo ed essere stato tra i finalisti ha fatto sì che si sia acceso un faro sull'Italia. Ecco perché i nostri piatti sono stati studiati a lungo: sapevamo che sarebbe stata un'occasione unica di visibilità. Un esempio su tutti è stato il nostro Vassoio che reinterpretava la carne all'italiana, in cui abbiamo voluto unire gli ingredienti migliori da tutte le regioni e usato anche i tagli meno nobili della carne per lanciare un messaggio antispreco. Il design del piatto, inoltre, richiamava la piazza italiana come spazio assoluto e infinito, spazio senza tempo, luogo di incontro, condivisione e avanguardia: il nostro modo per confermare al mondo che l'Italia è una meta da non perdere per cultura, cucina e arte.
La presentazione "Sul Vassoio" di Martino Ruggieri al Bocuse d'Or 2019
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
A marzo riprenderò il mio ruolo di chef di cucina al Pavillon Ledoyen (il tre stelle Michelin di Yannick Alléno in cui lavora da 4 anni ndr.). So che la brigata mi aspetta e ho voglia di ricominciare a lavorare con i miei colleghi. Sentivo il bisogno di tornare a Parigi e ricominciare a fare il mio lavoro, a testa bassa e con determinazione, come ho sempre fatto. Per me il cuoco deve stare in cucina e io non voglio più allontanarmene così a lungo.