Inarrestabile Bottura. Mentre il suo hamburger popola ancora i sogni dei newyorkesi, lo chef modenese (è ormai pleonastico specificarlo, ma: tre stelle Michelin all'Osteria Francescana, e terzo nella World's 50 Best) ha rilasciato un'intervista al New York Times. O meglio: ha rilasciato un'intervista, e nel frattempo ha cucinato.
Massimo Bottura è arrivato nella casa della giornalista, ha indossato un grembiule e ha preparato un riso al latte. Come? Niente magnum di foie gras o polli nascosti? Lo chef, d'altronde, fa emergere in ogni intervista l'importanza che rivestono, nella sua cucina, i sapori d'infanzia: un'Emilia fatta di tortellini e bollito, cotechini e mortadella, che lui trasforma in qualcosa di mai visto (e mai assaggiato).
E che Bottura ha fatto non poca fatica a far apprezzare ai modenesi, tenacemente attaccati alle tradizioni culinarie. Come scrive nel suo libro, Never Trust a Skinny Italian Chef (da noi uscito con il titolo di Vieni in Italia con me), le loro ossa sono di Parmigiano Reggiano e l'aceto balsamico scorre nelle loro vene.
Quando ha aperto l'Osteria Francescana, nel 1995, in molti si sono sentiti offesi: come si permetteva quello chef di dissacrare la cucina delle loro nonne? "Fino a dieci anni fa volevano bruciarmi in piazza come una strega" ha detto Bottura alla giornalista "Ma ora mi chiamano Maestro".