A metà fra un bistrot parigino e un tapas bar: si chiama Rebelot ("confusione" in dialetto milanese) ed è la nuova avventura di Matias Perdomo, del suo staff, e del giovane chef di origini brasiliane Maurizio Zillo, che ha in mano la cucina. Il locale sorge proprio accanto al già collaudato tempio del divertissment culinario milanese, Al Pont de Ferr, il ristorante con il quale lo chef di origini uruguaiane ha conquistato la sua prima Stella Michelin nel 2012.
Rebelot e Al Pont de Ferr convivono nello stesso cortile, e si affacciano entrambi sui Navigli. Distante dalla confusione fatta di happy hour e ricchi buffet della zona, il Rebelot continua il discorso intrapreso da Matias nel suo ristorante: divertire e far riflettere chiunque varchi le sue porte, proponendo piatti giocosi che sembrano qualcosa di diverso da quello che sono.
Come nasce l'idea del suo nuovo locale?
Quando abbiamo scoperto che nello stesso cortile de Al Pont de Ferr si era liberato uno spazio abbiamo pensato che sarebbe stato bello trasformarlo in un bar/bistrot dove poter far accomodare chi aspettava un tavolo al ristorante. Col passare del tempo, però, il progetto è cambiato ed è diventato molto più interessante. Adesso il Rebelot è un locale a parte, che nel suo piccolo cerca di combattere la dittatura dell'happy hour milanese.
In cosa differisce da Al Pont de Ferr?
Al Pont de Ferr è un ristorante a tutti gli effetti; il Rebelot è a metà fra un bistrot parigino e un tapas bar. Sicuramente si lavora a velocità completamente diverse; qui si consumano tapas gourmet accompagnate dagli ottimi cocktail di Oscar Quagliarini. Per il resto i due locali condividono le stesse materie prime (abbiamo gli stessi fornitori) e lo stesso staff, composto da più di 30 elementi.

Una stella Michelin nel 2012: qual è stata la sua reazione quando l'ha saputo?
Sono stato sicuramente molto contento, e lo sono tutt'ora. All'epoca non sapevamo che avremmo ricevuto questo riconoscimento, non ce lo aspettavamo. Non è cambiato nulla però; Al Pont de Ferr lavoriamo come sempre.
Può descrivere la sua idea di cucina?
La cucina è una filosofia di vita, uno chef cucina come vive. La cucina che propongo non è ovviamente una cucina meditativa, ma spero che faccia almeno riflettere. Non è facile far concentrare le persone sul cibo, e riesco a farlo attraverso il gioco. Il cliente che vede arrivare un piatto "divertente" è più predisposto a dialogare con noi. Per me è naturale manipolare le materie prime e divertirmi con i piatti, facendo passare un cibo per un altro.

Perché si sente parlare così poco della cucina del suo paese d'origine?
In Uruguay non abbiamo un'identità culinaria molto forte, come Cile, Perù e Brasile. Le ricette richiamano la storia di un popolo: in Uruguay e Argentina siamo tutti figli di spagnoli e italiani, si è quindi cercato di riadattare le tradizioni e le usanze spagnole e italiane a una terra che non offriva le stesse materie prime. Questo è un peccato perché l'Uruguay ha delle risorse incredibili, che non vengono sfruttate a dovere. Per esempio noi diamo le spalle al mare, ma non mangiamo pesce: non c'è pesca locale, le nostre acque vengono affittate al Giappone e noi ci affidiamo esclusivamente alla carne.
Quindi nessuna influenza della sua terra?
L'unica cosa che caratterizza la nostra cucina è l'uso della brace. Ogni tanto mi accorgo di esagerare molto con questo metodo di cottura, ed è infatti un elemento che si ritrova molto spesso nei miei piatti.
Ha dichiarato che le piacerebbe tornare lì e aprire una scuola di cucina. È così?
Uno dei miei sogni è di poter contribuire allo sviluppo culturale e gastronomico del mio paese. So che non posso fare miracoli, ma credo che sia necessario fare qualcosa di questo tipo. Con una scuola di cucina mi piacerebbe aiutare la crescita della mia terra.
Di quale materia prima italiana non può più fare a meno?
Il riso: ha una rilevanza culturale molto alta in Italia. In Uruguay non esistono tutte le varietà di riso che ho trovato in questo paese.
C’è una cosa o una persona che in questo momento ispira il suo lavoro, in Italia o all’estero?
Ovviamente Joan Roca. Da lui nasce la mia ispirazione per la Cipolla di Tropea Caramellata.