La storia del Desco comincia nel 1982, quando il ristorante non si chiamava così e non si trovava nella location attuale, una splendida residenza patrizia nel centro storico di Verona. Una storia cominciata da Elia Rizzo e ora proseguita dal giovane figlio Matteo, che così ce la riassume: "All'inizio erano un'osteria che faceva cose basiche, tartine, risotti. Mio padre si limitava a proseguire la tradizione di osti della nostra famiglia. Poi - da completo autodidatta - ha portato il ristorante al successo degli anni Novanta e alle stelle Michelin. Ha fatto una scommessa e l'ha vinta: è stato ricompensato per la sua tenacia".
Dalla voce di Matteo Rizzo traspare tutta l'ammirazione per quel padre che gli ha trasmesso la passione, la vocazione ma anche le basi tecniche del mestiere. "Ha un feeling disarmante con il cibo" ci racconta "Quando cuoce un risotto si blocca la cucina". Ora che alla guida de Il Desco c'è lui ("È mio padre che lavora con me, non io con lui, ma vorrei che si riposasse") Fine Dining Lovers ne ha approfittato per fargli qualche domanda.
Deve essere difficile raccogliere un testimone così impegnativo. Come se la sta cavando?
Mi considero un ristoratore a 360 gradi, non semplicemente uno chef. La cucina è la parte più divertente, certo, però quello che riesci a trasmettere durante una cena non deve essere semplicemente nei piatti, ma anche nell'accoglienza e nel servizio in sala, nella qualità dei prodotti tanto quanto nel modo di comunicarli.
Quali sono i suoi primi ricordi in cucina?
Una volta non c'era Instagram, bisognava davvero girare il mondo per conoscere i ristoranti. Spesso i miei genitori mi portavano con loro: ricordo nottate in macchina verso Parigi, cene in ristoranti come il celebre Ambroisie, tre stelle Michelin a Place des Vosges. Crescendo è diventato naturale essere coinvolto nelle attività del ristorante con piccoli compiti il pomeriggio, i weekend o d'estate. È stato un percorso graduale di consapevolezza.
Com'è stato iniziare davvero a guidare il ristorante?
Un turbinio di emozioni contrastanti. Quello del Desco un nome pesante da prendere sulle spalle, che è allo stesso tempo un peso e uno stimolo: bisogna fare tesoro di una storia di 30 anni e capire che sia la tradizione che l'innovazione hanno una loro forza.
Ora stiamo cercando di fare un passo indietro, cercando una cucina di sostanza e ingrediente con i piedi ben saldi per terra, senza artificio. Il nostro non deve essere un tempio della cucina che allontana e spaventa, ma un posto che avvicina: anche per questo abbiamo proposto iniziative come il Desco Under 30, che promuovano una maggior informalità.
Prima di tornare a Verona lei ha girato molto, giusto?
Mio padre è il mio maestro assoluto, colui che mi ha trasmesso l'essenza della cucina, ma volevo fare altre esperienze di ristorante "a 360 gradi", tanto nella sala quanto nella gestione: sono stato da Giorgio Locatelli a Londra, a Las Vegas e Los Angeles da Piero Selvaggio, in una catena a Barcellona.
Cosa le hanno insegnato tutte queste esperienze internazionali?
Il ristorante di una metropoli deve avere un servizio impeccabile, ma c'è meno contatto personale, fisico, con lo chef. Invece una città di provincia come la nostra conta moltissimo la mia presenza: la gente si aspetta di trovare Matteo Rizzo.
Nel suo menu c'è sempre uno spazio dedicato alle creazioni vegetariane, con piatti come l'Avocado in acqua di pomodoro o il Budino di pecorino, pesche e porcini.
Da anni seguo uno stile di vita quasi vegetariano, sia per ragioni nutrizionali che di salvaguardia dell'ambiente, ed è stato naturale portarlo al ristorante. D'estate propongo un intero menu degustazione, ma nelle altre stagioni è difficile affidarsi alle verdure: vivo pur sempre in Veneto!