Profumi del territorio laziale contaminati dal suo estro campano: Michelino Gioia, classe 1974, chef del ristorante The Cesar dell'Hotel La Posta Vecchia, Relais & Chateaux di Ladispoli (Roma), sceglie materie prime locali creando piatti leggeri all'insegna della gastronomia contemporanea. Il piatto che più lo rappresenta? Capesante, galletta croccante, crema di mele e patata affumicata.
La sua è una carriera fondata su esperienze importanti, come quelle maturate nelle cucine di Stefano di Salvo, Gaetano Trovato, Gianfranco Perbellini, Sergio Mei, Mauro Uliassi, Pietro Leeman, che lo hanno portato nel 2003 a diventare lo chef del ristorante The Cesar e a guadagnare la sua prima Stella Michelin nel 2007.
Ecco cosa racconta a FDL di sè, della sua esperienza dei suoi prossimi obiettivi.
Si descriva in tre parole.
Tenace, umile, semplice ma ambizioso.
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
Una cucina mediterranea, che rispetta le stagioni sfruttando i prodotti locali ma con uno sguardo continuo verso il contesto esterno.
Da dove nasce l'ispirazione per le sue ricette?
Andando al mercato, passeggiando nell’orto del The Cesar, confrontandomi con il mio Sous Chef Antonio Magliulo e leggendo libri della cucina classica.

I tre “maestri” che le hanno insegnato di più nella sua carriera?
Stefano Di Salvo, attuale Executive chef del Hotel Park Hyatt di Busan (Corea del Sud); Gaetano Trovato, chef Ristorante Arnolfo, due Stelle Michelin a Colle Val d’Elsa; Gianfranco Perbellini, chef due Stelle Michelin del ristorante Perbellini a Isola Rizza.
Che cosa ha imparato da ciascuno di loro?
Le fondamenta del nostro lavoro: tecnica, passione, l’equilibrio dei piatti, il rispetto per le materie prime, l’organizzazione di una cucina, la gestione delle risorse umane (oggi, il ruolo più difficile).
Quali sono le materie prime a cui non vuole mai rinunciare in cucina?
L’olio d’oliva extra vergine, il timo, il basilico, il pomodoro.
Il piatto icona della tradizione italiana che le ha dato più soddisfazione reinterpretare?
Tutti i tagli del Quinto Quarto, che per alcuni anni sono stati snobbati ma oggi sono quelli più apprezzati.
Quali consigli darebbe oggi ad un giovane aspirante chef?
Dietro la scelta di diventare chef deve esserci una grande passione per il mestiere e non bisogna mai pensare al successo facile, per esempio sperare di diventare delle star della televisione. Lavorare in cucina è tutta un'altra cosa rispetto a quello che viene mostrato in tv. Consiglio poi sempre di essere sempre umili, di fare tante esperienze prima di fermarsi in un posto, di imparare l’inglese, lavorare all’estero, non perdere mai la voglia di sapere. E ricordarsi sempre che, prima di essere un grande chef, bisogna essere un grande uomo.

Il suo prossimo obiettivo?
Ricevere la seconda stella Michelin.
Lo chef che più rappresenta la cucina italiana nel mondo, oggi, secondo lei?
Negli ultimi anni abbiamo chef italiani sempre più bravi, che riescono a rappresentare bene l’eccellenza della gastronomia nostrana all’estero, per questo è difficile fare un solo nome. Cito sicuramente tra i primi lo chef Sergio Mei del Four Season di Milano e lo chef Alfonso Iaccarino del ristorante Don Alfonso di Sant’Agata dei due Golfi.
Il locale più innovativo che ha visitato di recente?
Il Panificio Bonci di Gabriele Bonci e il Romeo di Cristina Bowerman, entrambi a Roma, zona Prati.