La storia di Mineko Kato sembra costruita apposta per un adattamento cinematografico. L'unica condizione è che il regista sia abbastanza bravo da trasporre sullo schermo la bellezza dei dolci che la pasticcera giapponese crea nel ristorante milanese Sushi B.
Una storia che inizia nell'isola di Hokkaido, dove i suoi genitori erano scappati per amore perché la famiglia di lui, nobile, non voleva che sposasse lei, figlia di commercianti. Mineko è cresciuta "guardando le balene che saltavano nell'oceano" finché suo padre non ha intrapreso la carriera di diplomatico e la famiglia ha iniziato a girare il mondo. "Nella mia famiglia erano ammessi solo lavori intellettuali" racconta "Quindi, anche se avrei sempre voluto fare la pasticcera, mi sono laureata in comunicazione. Ho iniziato a lavorare in una redazione ma ero sempre infelice, piangevo tutti i giorni. Ho lasciato tutto e mi sono trasferita in Europa per lavorare in cucina".
La sua formazione culinaria è avvenuta unicamente in Europa: quanto Giappone c'è nella sua cucina?
Poco, purtroppo. Mi vergogno a dirlo ma in materia di Giappone sono autodidatta. Le mie esperienze sono tutte nell'ambito della cultura occidentale. Io adoro le materie prime italiane, al momento cerco di unirle alle tecniche giapponesi, al Giappone della mia fantasia e dei miei ricordi di infanzia.
Cos'è Oriente per lei?
Uno stato di animo preciso, calmo, gentile. Profumi che mi evocano qualcosa di profondo e spirituale. Sto studiando molto la medicina orientale: vorrei che i miei dolci fossero una medicina per il corpo, ma anche per l'anima, non un peccato. Non voglio far star male le persone con grassi, farine bianche e zucchero.
Come si costruisce l'equilibrio tra la sua parte giapponese e quella italiana?
Non lo so, ci sto ancora provando e spesso faccio fatica. Ad esempio adoro tutta la frutta secca del vostro paese, ma non fa parte della nostra cultura. E non amo creare dessert come il tiramisù al tè matcha: non voglio rappresentare il mio paese in maniera superficiale, bensì con amore e rispetto, non ha senso limitarsi a trasporre i nostri ingredienti in un dolce italiano.
Da qualche mese Sushi B propone un menu omakase: otto-nove portate servite al bancone del sushi bar. Un viaggio nella tradizione culinaria giapponese che si conclude con i dolci di Mineko come, nel nostro caso, Anninindofu: uno straordinario dessert a base di armellina. La panna cotta e il gelato vengono fatti con i noccioli dell'albicocca e accompagnati con shiso caramellato e bacche di goji. "L'armellina era già conosciuta 2000 anni fa" spiega Mineko "Fa abbassare colesterolo e glicemia e ha fortissime proprietà antiossidanti. Contiene un po' di cianuro ma cotta nella proteina diventa meno velenosa. Ha un gusto profondo, sensuale e femminile".
Quali sono state le sue esperienze in Italia?
Tantissime e tutte positive. Qui c'è libertà di creare, non come in Francia, dove ti senti parte di una catena sforna bignè. Sono passata da Aimo e Nadia - dove ho davvero capito l'importanza della materia prima - dal Bulgari con Elio Sironi, da Marchesi, da Nobu e dall'Osteria Francescana. Sono stata la prima donna che hanno assunto! Mi sono divertita tantissimo e sarei rimasta lì per sempre, ma è stato proprio Massimo Bottura a darmi l'ispirazione per cercare le mie radici.
Com'è successo?
A Identità Golose 2014 ha fatto salire tutti noi della brigata sul palco: ognuno preparava un piatto e io ho portato una caprese "in bianco". Gli è piaciuta tantissimo ma mi ha anche raccomandato di ricordarmi sempre chi sono e quali sono le mie origini. Ho deciso di arrivare qui da Sushi B per conoscere meglio me stessa e la mia identità giapponese. Credo molto nel nuovo menu omakase.
Nelle cucine italiane, come ad esempio alla Francescana, sono tantissimi i giapponesi. Perché secondo lei?
Siamo un popolo che cerca di andare al di là dell'apparenza e approfondire ogni discorso. Se vogliamo imparare un certo tipo di cucina ci dedichiamo completamente ad essa.
Lei prepara anche la Mizushingen, la famosa Raindrop Cake, "Torta all'acqua".
È una sfera d'acqua con salsa allo zucchero integrale e polvere di soia tostata. Un dolce tradizionale giapponese che ha pochissime calorie - circa 67 - nato per ricordare che mangiare consapevolmente è un atto spirituale, di nutrimento.
I suoi progetti futuri includono il Giappone?
Tornare al mio paese non è un progetto, è un sogno. Vorrei aprire un posto mio: non a Tokyo, bella ma troppo caotica - per me è un incrocio tra la Medina e un Luna Park - bensì in un villaggio immerso nella natura.