L'Abruzzo e la prima Stella Michelin nella Guida 2013: da qui parte la chiacchierata con Nicola Fossaceca, giovane interprete della cucina italiana che al suo Al Metrò, a San Salvo Marina in provincia di Chieti, lavora con il fratello sommelier Antonio. Obbligatorio parlare della sua regione, quest'anno rivalutata dai gourmet, dai magazine e dal web, dopo il successo di Niko Romito.
Nicola è positivo quando si parla della sua terra, e guarda ai risultati ottenuti in questi pochi anni. "E se non fosse rimasto in Abruzzo?". Ecco come lo chef ha risposto a questa e a tante altre domande.
Nel 2013 la Stella Michelin: cosa è cambiato?
La Stella Michelin ci ha dato sicuramente un respiro internazionale; l'Abruzzo non è un territorio facile o famoso. Questa notorietà aiuta sicuramente a lavorare meglio: fa arrivare da te persone curiose da tutte le parti d'Italia, che forse prima non si sarebbero fermate. Sicuramente lavoriamo un po' più di prima e questo è importante, visto che un ristorante è anche un'attività commerciale. Poi è un incentivo alla professione e il riconoscimento più ambito dai cuochi che lavorano secondo determinati canoni, quelli della qualità e dell'esaltazione del territorio.
Secondo lei a che punto è l'Abruzzo dal punto di vista dell'alta ristorazione?
L'Abruzzo 30 anni fa era molto forte da questo punto di vista, si pensi alla scuola Villa Santa Maria, da cui partivano molti chef che poi andavano in giro per il mondo. Dopo quegli anni d'oro c'è stata una grande discesa, ma adesso vedo una regione gastronomica in crescita. L'esempio? Niko Romito, tre Stelle Michelin a Castel di Sangro. Questo primato è stato importante per lui, ma soprattutto per la nostra regione. A parte i ristoranti stellati non bisogna scordare che ci sono anche i piccoli produttori, che traggono beneficio da una regione in fermento.
E se non fosse rimasto in Abruzzo?
Ho un forte legame con la mia terra, e a livello locale sto bene, qui ho la mia dimensione. Non nego che un giorno mi piacerebbe andare in una città metropolitana, dove da un lato sarebbe forse più facile, perché ci sarebbe sempre molto lavoro, ma ovviamente ci sarebbero alcuni aspetti che fanno parte della mia quotidianità adesso che mi mancherebbero. Mi attirano città come Londra o New York, ambienti più freddi e moderni, proprio in contrasto al calore tutto italiano; mi piacerebbe lavorare in un contesto completamente diverso creando un equilibrio fra questi due aspetti.
E quali ingredienti le mancherebbero?
I ricci di mare, che qui mi piace usare tutto l'anno o insomma quando c'è la possibilità, le triglie, un pesce delicatissimo e intenso poco apprezzato, ma che se somministrato in maniera leggera spiazza chi lo mangia.
Un ingrediente internazionale, invece, che ha scoperto da poco che l'ha colpita?
Katsuobushi, il tonno striato essiccato; mi piace molto e mi porta tante emozioni, ha quel sapore orientale che mi affascina molto.
Uno chef che rappresenta l'Italia in questo momento?
Niko Romito, senza dubbio; di grandissima ricerca e apparente semplicità, rappresenta la cucina italiana d'avanguardia contemporanea.
Un ristorante che consiglierebbe?
Uliassi a Senigallia. Lì ho fatto anche un'importante esperienza, molto formativa da un punto di vista professionale e umano: ho imparato a lavorare in gruppo e ad essere sempre costruttivo, anche grazie alla guida di Mauro Uliassi.
Qual è il futuro della cucina italiana?
Il futuro è una cucina etica e responsabile, una cucina accessibile a tutti. Etica anche dal punto di vista economico e delle produzione delle materie prime, il "km 0" se e quando si può, la scelta di un produttore che lavora nella maniera più pulita possibile. Il futuro, inoltre, è una cucina fatta con criteri più sani rispetto ad una volta, senza mai dimenticare la tradizione.