"C'è tutto il Veneto in questo menu". Nicola Portinari arriva per la prima volta a Expo Milano 2015 per la sua settimana a Identità Expo S.Pellegrino, e presenta quattro portate capaci di raccontare la sua regione e ovviamente il suo ristorante, La Peca (Lonigo, Vicenza), due Stelle Michelin.
Un ristorante, quello della famiglia Portinari, che negli ultimi 20 anni ha educato i palati dei veneti, gourmet e non. Nicola ricorda ancora le battaglie anche solo per far assaggiare la carne al sangue, o peggio ancora quando le verdure insieme ai secondi piatti non venivano neanche toccate e rimandate indietro "perché la gente fra gli anni '90 e inizi 2000 voleva solo mangiare manzo e piccione".
Storie distanti da due dei temi cardine dell'Expo, lo "spreco zero" e l'attenzione all'alimentazione come nutrimento: Nicola queste direttrici le segue fin dall'inizio della sua carriera, da quando da solo si è chiuso in cucina da autodidatta, prima per diventare cuoco e poi come chef.
Cucina pulita, salubre e senza troppe contaminazioni: ecco perché non dovreste perdere l'occasione di incontrare la raffinatezza di Nicola Portinari a Identità Expo S.Pellegrino.
Ci parli dei piatti che ha portato a Identità Expo S.Pellegrino
Ho costruito un menu che parla di Veneto. Per l'antipasto ho pensato di riprendere in mano il vecchio cocktail di gamberi e di trasformarlo in una sorta di Bloody Mary. Ho preparato un vero e proprio cocktail, con succo di pomodoro fresco, praprika e vodka. Poi ho aggiunto patate, come legante, e gamberetti al vapore. Ho messo anche quest'aria di acqua di mare tonica, agrumata, che porta freschezza come se fosse un gin tonic.
Per il primo ho fuso due ricette venete: il baccalà mantecato e quello alla vicentina. Ho fatto questa zuppetta di baccalà con sopra dei fusilli olio e cipollotto con crema di rapa, con una parte dolce e una acidula, e ho aggunto capperi.
Anche il secondo piatto è un piatto della tradizione: un Maialino da latte, ovviamente diverso dal solito. Il maialino viene cotto da solo, e poi servito con una salsa di maiale alla quale ho aggiunto salvia e ginepro. Sopra c'è della mozzarella fresca che restituisce il sapore del latte e rende la ricetta un po' più fresca. Ancora Veneto con il dolce: ho pensato ad una zuppetta di Tai rosso, il nostro vecchio Tocai, base di un Vin Brulè molto speziato, con gelato all'alloro e fichi.
"Spreco zero" è uno dei motti di Expo 2015: cosa fa nel quotidiano per sprecare il meno possibile in cucina?
Da sempre seguo la filosofia del "non spreco": siamo un ristorante a conduzione familiare, non buttiamo via niente, tutto ciò che un domani deve essere buttato passa prima dal piatto del personale, scarti non ne abbiamo quasi mai. Tengo molto a questo discorso, perché credo che la prima forma di guadagno sia proprio non buttare via nulla. Sono molto sensibile al tema, e a novembre avrò il piacere di partecipare a PizzUp del Molino Quaglia, dove si parlerà proprio dello spreco alimentare. Noi chef parleremo proprio con i pizzaioli, categoria che molto spesso va incontro allo spreco di ingredienti - da qui la paura di investire in materie prime più pregiate.
Come si rapportano le giovani leve a questo tema dello spreco alimentare?
Trovo che siano poco accorti, ma questo è normale, non sono stati educati dalla famiglia. Siamo nell'era del consumismo e adesso dobbiamo fare un passo indietro. Sto molto attento su questo e cerco di farlo capire anche ai miei collaboratori in cucina.
Autodidatta in cucina: augurerebbe mai il suo percorso ai giovani chef di oggi?
La mia esperienza è quasi impossibile da replicare oggi: adesso c'è molta più comunicazione fra chef, più possibilità di apprendere culture e tecniche diverse. Ed è più semplice entrare nelle cucine degli chef, che sono numericamente molte di più. Insomma, è difficile che oggi si possa fare come me, che mi sono dovuto chiudere in cucina e inventarmi cuoco e poi chef, e soprattutto inventarmi una cucina di pesce, perché vengo da una tradizione di macelleria e la mia era basata su carne e verdure.
È stato molto arduo insomma, anche perché è avvenuto tutto molto lentamente, a differenza di oggi che si apprende tutto troppo velocemente, cosa che non so se sia buona o meno. Quando fai le cose lentamente rimani più equilibrato e costante, mentre quando qualcosa ti esplode fra le mani spesso diventi un fenomeno, ma non è detto che tu abbia la capacità per controllare tutto.
La Peca è uno dei capostipiti della grande cucina veneta: come l'ha vista cambiare negli ultimi anni?
Il Veneto gastronomico 20 anni fa non era certo ai livelli attuali; ricordo all'inizio le guerre fatte nel mio locale per far mangiare anche solo la carne al sangue, o il pesce che non fosse stracotto. Nei primi 5/10 anni della mia carriera ho fatto più l'educatore che lo chef e ho lottato con la clientela. per fargli assaggiare una cucina che altro non è se non quella che oggi mangiamo normalmente. Poi ho potuto dedicarmi anche a creare dei sapori e dei gusti nuovi. È cresciuta anche la clientela, le persone ora si interessano di più all'esperienza di un grande ristorante.
È sempre stato molto attento alla salubrità dei suoi piatti, ma come si rapporta ora a questa nuova ondata vegetariana?
Noi già da 5 o 6 anni affrontiamo il problema di intolleranze e la scelta di essere vegetariani o vegani. Nella mia carta ho sempre 3/4 piatti vegani e 2/3 vegetariani, credo sia essenziale ormai. Poi ricordo sempre che la cosa che mi frustrava di più qualche anno fa era quando creavi un piatto di carne equilibrato, con una buona dose di verdure, e queste mi ritornavano indietro. Durante gli anni '90, inizio 2000, le persone non volevano proprio le verdure nel piatto; volevano solo il manzo, il piccione, il vitello.
Adesso stiamo lavorando molto sul cercare di preparare dei piatti capaci di ricordare la carne. Ultimamente serviamo questo piatto chiamato La Terra dove abbiamo ricreato la terra con orzo e porcini, abbiamo aggiunto delle carote e messo il Tempeh, spadellato con un sugo che ricorda uno spezzatino. La gente, anche se non è vegana, lo mangia e lo rimangia perché è davvero appetitoso.
Cosa pensa abbia portato Expo Milano 2015 all'Italia, e cosa ci lascerà in eredità?
Ha portato sicuramente la consapevolezza che siamo capaci di organizzare un bell'evento con un grande pubblico. È stato bello che l'Italia abbia sviluppato il filo conduttore l'alimentazione, perché noi italiani siamo la cucina.
Spero che Expo lasci la consapevolezza agli italiani che la nostra cucina è una fra le migliori al mondo - non la migliore - e che abbiamo una cultura gastronomica incredibile. Spero anche l'Italia capisca che questo tipo di cultura non è così scontata in giro per il mondo.
Cosa pensa di poter portare lei a Expo?
Spero di aver comunicato con le persone che sono venute a mangiare qui in questi giorni. Sono clienti sconosciuti che sono venuti qui forse per caso, ma magari hanno capito com'è la mia cucina, ovvero pulita, leggera, digeribile e piacevole. Spero di aver lasciato la mia impronta, proprio come il nome del mio ristorante. Poi qui è una bella prova: 1.000 coperti in pochi giorni. Certi numeri per noi sono molto alti; siamo in campagna quindi è più difficile che arrivi tutta questa clientela. Però la cucina qui a Identità Expo è bene organizzata ed è stata quasi una passeggiata.