Sorride Norbert Niederkofler ricordando il 16 novembre 2017, giorno in cui è stata consegnata la terza stella Michelin al suo St.Hubertus, ristorante dell’Hotel Rosa Alpina a San Cassiano, rendendolo il nono chef in Italia a entrare nell’empireo dell’eccellenza assoluta della ristorazione.
Un momento di grande gioia, ma anche di grande confusione, racconta lo chef. “I primi 10 giorni ci sono arrivate 450 prenotazioni da tutto il mondo”. Ma questo non lo ha fermato. “Ora vogliamo diventare ancora più rigorosi nel menu, già composto all’80% di materie prime locali. Quando ci hanno dato la terza stella, il concetto di cucina del territorio è arrivato a livello internazionale. Dieci anni fa sarebbe stato impossibile”.

Foto © Daniel Töchterle
Abbiamo incontrato lo chef a Care’s, manifestazione voluta proprio da Norbert Niederkofler e giunta alla terza edizione che nel gennaio scorso ha richiamato chef e giornalisti da tutto il mondo per parlare di sostenibilità. Ecco quello che ci ha raccontato.
Questa volta la formula di Care’s era diversa dal solito: un giorno intero di congresso. Prevede altri combiamenti nelle prossime edizioni?
Negli ultimi anni noi chef abbiamo avuto tanta notorietà, ora dobbiamo rimanere con i piedi per terra: siamo cuochi, dobbiamo stare al nostro posto. La nuova formula sarà: meno cuochi, livello sempre più alto. Non mi interessa la fama ma il contenuto, non i grandi nomi ma il concetto. Vorrei che ci fossero maggiori momenti di scambio. Nei talk punteremo anche su altri argomenti che rispecchiano l'Italia, come il design. Di eccellenze ne abbiamo quante vogliamo, dobbiamo solo tirarle fuori.
Uno degli temi principali del congresso è la sostenibilità. Come la applica nel suo ristorante?
Dialogo direttamente con i produttori, senza intermediari. E non discuto mai i prezzi. I ‘miei’ contadini sanno già cosa mi servirà per la stagione successiva. Idem gli allevatori. Ad esempio, mi arrivano sei agnelli a settimana. Prima uso le interiora, da cucinare subito, poi lavoro usando i secchielli: uno per la parte grassa, uno per le parti ‘carnose’ da ragù, uno per le parti da salsa, uno per le ossa, uno per le parti nobili… e poi le parti da mettere sottovuoto e congelare.
E nel quotidiano?
Lo sapevate che il 30-60% dei prodotti comprati vengono buttati via? Quando noi cuochi andiamo al mercato ci innamoriamo di tutto e torniamo sempre a casa con un sacco di roba. Mia moglie mi ha insegnato a chiedere solo le cose di cui ho davvero bisogno.
È ottimista verso il futuro?
Bisogna puntare sulle nuove generazioni, andando nelle mense a educare il palato dei bambini. Le nuove tecnologie sono fondamentali, ma imparare a pensare con la propria testa lo è di più.

Foto © Daniel Töchterle
A proposito di nuove generazioni, come si costruisce una brigata forte e solida come la sua?
Bisogna lasciare ai ragazzi libertà e responsabilità. Io oggi non c’entro più niente con la cucina, sono l’allenatore e dipende da me vedere le potenzialità dell mia brigata e le differenze di ognuno. Per farlo è necessario parlare, sedersi al tavolo tutti insieme. E se c’è un errore nel piatto la colpa è mia e mi scuso io con il cliente.
Un consiglio per un ragazzo che voglia intraprendere la professione di chef?
Oggi ci arrivano dei curriculum del tipo ‘Due mesi al Noma, due mesi al Central… ”. Roba che io alzo le mani e consegno a quei ragazzi le chiavi della cucina! Poi se dai loro un agnello in mano non sanno da dove cominciare. Ragazzi, serve tempo. Investite cinque anni della vostra vita e andate in giro a lavorare, non a fare stage. E imparate l’economia in cucina.
Ultima domanda sulla terza stella. Lei e gli altri otto chef tristellati venite da territori diversi e avete concetti di cucina molto diversi. Secondo lei cosa vi accomuna?
Il nostro comune denominatore sono qualità, rispetto della materia prima e visione italiana.