Difficile immaginarlo, ma a un’ora d'auto dal traffico milanese, verso nord, si apre un panorama di pascoli e montagne. È l’incredibile varietà paesaggistica della Lombardia. Siamo in Valtellina, dove nascono gioielli caseari noti nel mondo, come il Bitto.
Cos'è il Bitto?
Il Consorzio Salvaguardia Bitto Storico vende il formaggio presso la propria casera di stagionatura a Gerola Alta, e proprio qui si può acquistare con stagionature dai 70 giorni in su.
Bovini e caprini, secondo il disciplinare, mangiano solo erba del pascolo, mentre le regole per la Dop ammettono mangimi e non considerano obbligatorio il latte di capra.
La Storia del Bitto
Il Bitto ha mille anni di storia: la prima traccia è datata XVI secolo, quando viene decantato come prodotto sublime del latte. Nasce nelle Valli Orobiche, e sui pascoli alpini, frutto del favorevole incontro tra umidità, temperatura e manualità. La zona di produzione del Bitto DOP comprende la provincia di Sondrio e comuni dell'alta Val Brembana. Quella del Bitto Storico, invece, è un'area delimitata sulle Prealpi Orobiche, tra le province di Sondrio, Bergamo e Lecco. Le principali valli di produzione sono Gerola e Albaredo, le valli del Bitto.
Note distintive del Bitto
Oltre al sapore ricco di profumi ed aromi erbacei, il Bitto migliora col tempo. Il suo successo nella storia è dovuto anche all’invecchiamento, che gli consente di affrontare lunghi viaggi a dorso di un mulo o su carri e barche. Una forma di Bitto si può conservare oltre 10 anni. È bene ricordare che sino a fine Ottocento il formaggio stagionato era un bene di lusso.
Come viene fatto il Bitto
Tutto parte dall’alimentazione degli animali. Erba e fiori sono determinanti per il risultato finale, sia sul palato sia per la qualità del latte. Lo rendono ricco di acidi grassi polinsaturi e di omega 3, entrambi salutari. Per una forma servono due mungiture: al mattino e il pomeriggio intorno alle 16.
Il latte deve essere lavorato sugli alpeggi, così si evitano contaminazioni batteriche e alterazioni causate dal trasporto.
Il latte finisce nella culdera, termine dialettale che indica il grande paiolo in rame pesantissimo - fino a 50 kg - a forma di campana rovesciata. Nel pentolone finisce latte vaccino appena munto e ancora caldo e un 10-20% di latte caprino. Sul fuoco a legna il latte raggiunge 35-37°, poi si mette il caglio; infine la cagliata viene rotta con un apposito bastone fino a raggiungere la dimensione di un chicco di riso. Si rimette la culdera sul fuoco e lentamente si porta a 50°.
Poi la massa viene raccolta in un telo di lino e pressata nelle fascere circolari di 50 cm di diametro. L'attrezzatura è di legno; i produttori sostengono che le caratteristiche tipiche di ogni alpeggio derivano anche dal “sapore” degli utensili, che si tramandano da generazioni. È il legno che mantiene la tipicità della microflora, che crea una barriera contro i batteri anticaseari.
La fase della salagione avviene a "secco" o per immersione in salamoia: oltre a conferire gusto al formaggio, consente la creazione della crosta, che isola la forma dall’esterno. Comincia la maturazione e si completa nella Casera di Gerola Alta.
Una forma non è matura prima di settanta giorni.
Come mangiare il Bitto
Il Bitto sprigiona il meglio a temperatura ambiente. Prima di gustarlo tenetelo mezza giornata lontano da luoghi freddi. I puristi inorridiscono all’idea di usarlo in cucina, lo degustano in purezza, lentamente, per mantenere sul palato gli aromi di fiori ed erba d’agosto. In bocca si scioglie subito e lascia sentori di frutta secca, burro, fieno, fiori essicati.
Il Pairing perfetto
Il Bitto è formaggio da meditazione, si abbina in maniera perfetta a un vitigno valtellinese da meditazione, lo Sfursat, vino rosso secco derivato dal vitigno Nebbiolo.