Oscar Quagliarini è uno dei più noti bartender della sua generazione. Difficile ricostruire tutti i suoi spostamenti: Julep's e Rebelot a Milano, Grazie a Parigi, ora di nuovo nel capoluogo lombardo al Living e al Marc Jacobs Cafè.
E poi Benin, Spagna, Singapore ... ognuno dei viaggi ha lasciato aromi, sapori e suggestioni nei suoi cocktail.
Cominciamo dall'uso dei profumi nei cocktail, la sua vera cifra distintiva. Com'è cominciata questa passione?
Ero in giro in bici per Parigi, ho incrociato un negozio di Guerlain e per curiosità ho preso tre campioncini. I profumi di Guerlain si prestano a una realizzazione "commestibile" grazie all'estremismo, l'overdose che è la loro cifra distintiva. Da lì è partita la curiosità e un lungo lavoro di ricerca: ora i miei studi vanno dal linguaggio dei fiori all'erboristeria fino alla neuro-gastronomia.
Come lavora?
Faccio da solo i miei profumi, passo per passo: un po' perché ho sempre amato le autoproduzioni, un po' perché è troppo facile limitarsi a mettere oli essenziali nell'alcol. Si prestano molto bene, ovviamente, le spezie usate in cucina come cardamomo e ginepro. Altri fattori da calcolare: nei cocktail le tempistiche sono più veloci e devi creare un continuum tra bocca e naso. Ultimamente non lavoro solo sugli spray, ma anche sui contenitori: ho creato un bicchiere fatto con pagine accartocciate di vecchi libri.
Ha lavorato molto anche all'estero. Com'è la situazione rispetto all'Italia?
In Francia c'è più meritocrazia e i barman bravi vengono premiati a prescindere tra le mode. Qui in Italia invece i barman si sfidano a chi prepara più cocktail e seguono acriticamente le mode. Ultimamente c'è quella degli speakeasy: beh, a me non interessa, lavoro in canottiera e e continuo a vendere vodka.
Non dobbiamo perdere di vista il cliente. Io cerco sempre di entrare in comunicazione: voglio capire esattamente cosa vogliono, se qualcosa di più secco o più dolce, acido o aspro.
Ha da poco partecipato al Postrivoro, dove i suoi cocktail hanno accompagnato i piatti di Emilio Macìas. Cosa pensa del cocktail come abbinamento a tutto pasto?
Quella è stata un'esperienza particolare. Normalmente non credo che i cocktail possano essere abbinati al cibo: uno storpia l'altro, non aggiungerei più di due cocktail a pasto, uno con il piatto di entrata e uno con il dessert.
Qual è il cocktail di cui va più fiero?
Il primo che ho fatto è stato lo Speakeasy, inserito tra i 101 migliori cocktail del mondo. Il whisky Ardbeg invecchiato dieci anni, Galliano l'Autentico, una zolletta di zucchero, bitter al cioccolato. O la Rivoluzione: whisky, ghiaccio e spuma nera. Non cerco la complessità, non voglio mettere troppi ingredienti nei cocktail: i clienti devono ricordarseli.
Come è scattata la passione per la mixology?
Ho fatto ragioneria sperimentale - mio padre mi voleva impiegato in banca. La mia passione principale era la musica, ho cominciato a fare il barista perché volevo comprarmi un sintetizzatore. Di recente ho scoperto che mio nonno era un barista: si vede che era un vizio di famiglia.
Cosa c'è nel futuro di Oscar Quagliarini?
Il mio sogno è aprire un locale a Barcellona. Un bar non convenzionale a partire dall'aspetto: niente muri di bottiglie per fare scena, tutte sotto al bancone, e al loro posto un liquorificio in piena vista. Con produzione di aromi, ovviamente.