Paolo Castiglioni è un fotografo italiano che vive e lavora tra Milano e Verona e che con una serie di lavori, alcuni ancora in corso, si è focalizzato soprattutto sulle diverse tipologie di formaggio di montagna.
Con il giornalista Alberto Marcomini lavora a progetti editoriali e fotografici proprio sui prodotti caseari e Fuciade, l’incanto della natura è la prima pubblicazione di questa serie.
Abbiamo parlato con Paolo Castiglioni che ci ha spiegato meglio il suo progetto e l'importanza della fotografia legate al territorio.
Come nasce Fuciade l’incanto della natura e la collaborazione con Alberto Marcomini?
Con Alberto ci conosciamo da molti anni e abbiamo realizzato qualche libro insieme sempre sul formaggio. Poi la collaborazione si evolve ulteriormente con Fuciade, e una serie di progetti sui luoghi della montagna: e quale prodotto meglio dei formaggi possono raccontare la montagna? Fuciade è stato il traghetto che mi ha portato a credere in una fotografia del cibo che appartiene al territorio, dove si produce, vive e cucina. La fotografia non è il cinema, la sua relazione con il luogo è molto più vincolante, deve raccontare in sintesi senza suoni senza effetti speciali. E nel suo silenzio io devo farle raccontare sensazioni, profumi, suoni. Bell’impresa.
Il progetto nasce quando Alberto mi telefona, e mi dice “domani si va a Fuciade” e fare due foto…
Io non conoscevo questo luogo/Rifugio, situato vicino al Passo San Pellegrino, tra Trentino e Veneto. Carico di attrezzatura - la fotografia di cibo è una cosa complicata - si arriva a un parcheggio e troviamo ad attenderci una motoslitta… Carichiamo il tutto e via verso il rifugio.
Qualche curiosità su questo e della tua esperienza al passo San Pellegrino?
Era Aprile ma c’era ancora neve e freddo. Mangiamo un boccone e poi mi fanno fare un giro nella struttura per scegliere dove piazzare il set.
Solo allora mi rendo conto che straripa di oggetti da cucina che arrivano da tutto il ‘900, e che segnano la storia di un secolo. E la raccolta di stampi da burro - oltre trecento! Un po’ stordito da questa ricchezza decido di fare una provocazione allo chef: le tue ricette non le fotografiamo sui piatti di servizio ma nei contenitori/oggetti che hai qui dappertutto. Per esempio l’insalata la mettiamo in quel “coso” coi buchi…
Dal progetto fotografico al libro il passo è breve…
A Fuciade nasce un progetto ancora grezzo, incerto. Alle mie richieste lo chef Martino rimane perplesso, non capisce bene cosa intendo. Lo sprono e realizziamo le prime due ricette. Vede il risultato e ne è entusiasta. A questo punto con una camera fissa sulle ricette da fotografare e con l’altra in giro per il rifugio e la cucina a raccogliere testimonianze di un’epoca.
Realizzo foto di collezioni: maschere, forchette, macinacaffè, strumenti per il burro, i famosi stampi, macina carne, coltelli, attrezzi da cucina e ancora ritratti, statuine, particolari. Le foto delle ricette di Fuciade sono pertinenti al luogo. Finalmente.
Dopo una giornata e mezzo di foto al ritorno a casa comincia a nascere l’idea, gli accostamenti, i significati. Prende forma una storia coerente. Preparo a insaputa di tutti un libro...Dopo la pubblicazione sul Fuciade, è il turno di Castelmagno, ritorno alle origini, la prima di una serie di pubblicazioni sul formaggio di montagna…
Perchè proprio il formaggio di montagna?
La montagna è l’unico luogo incontaminato che abbiamo. Vincoli territoriali, difficoltà ambientali, scarsità di servizi, difficoltà di trovare forme economiche di sopravvivenza tengono lontani speculatori e turisti. L’allevamento della vacca da latte e la trasformazione in formaggio è una delle poche attività economiche che riescono a sopravvivere, contribuendo in maniera essenziale alla sopravvivenza stessa dell’ecosistema. È un giacimento a cielo aperto di usi e costumi, di cultura, tradizione ma anche di ineluttabilità delle cose.
Prendi il comune di Castelmagno nella Val Grana (CN), un comune sparso di quasi 90 (!!!) abitanti. Zona di catari e corridoio secondario di migrazioni verso la Francia a quasi 1800 metri di altezza. Nasce un formaggio unico, il Castelmagno appunto, un cacio a cagliata rotta, conosciuto e apprezzato fin dall’800 nelle corti Europee, usato addirittura come moneta di scambio... Quindi Castelmagno è stata la prima tappa dedicata ai formaggi di Alpeggio.
Qualche anticipazioni sulle prossime pubblicazioni?
In Malga, in montagna manca spesso energia elettrica e acqua. La vita è un po’ diversa tesa ad evitare il superfluo, a concentrarsi. Questo motivo è sufficiente per andare a vedere, raccontare. Al momento stiamo lavorando sul Branzi, altro grande formaggio prodotto della montagna, in uno di territori più ricchi di tradizione casearia: Taleggio, Strachitunt, Formai de Mut e il Bitto, piccole varianti che nascono nello stesso territorio, un’area che va dalla Val Brembana alla Valtellina.
Poi speriamo di proseguire in altre storie, ma non abbiamo fretta, un libro all’anno ci basta!