Sono tutti intorno a un banco di acciaio, concentrati a tagliare ortaggi in minuscoli cubetti: siamo a Care's: The Ethical chef, prima edizione dell’evento lanciato in Alta Badia che ha offerto l’occasione di incontrare anche giovani chef con talento da vendere.
Tra i tanti nomi presenti sulle Dolomiti, infatti, si ritrovano gomito a gomito due chef che nel 2015 si sono fatti conoscere dal pubblico di tutto il mondo: il S.Pellegrino Young Chef 2015 Mark Moriarty, 23enne irlandese che ha sbaragliato i concorrenti con un piatto a base di sedano rapa, e il 24enne torinese Paolo Griffa, che con un piatto coraggioso a base di trippa e fegato grasso ha rappresentato l’Italia alla finale mondiale.
E mentre si aprono le selezioni per il S.Pellegrino Young Chef 2016 – è possibile iscriversi qui fino al 31 marzo 2016 7 aprile 2016 – Fine Dining Lovers ha messo a confronto Moriarty e Griffa in una divertente intervista doppia: ecco cosa ci hanno raccontato.
Quando pensi che il destino vi abbia assegnato il lavoro di cuoco?
Mark Moriarty: A 15 anni, lavoravo già in un ristorante, la mia strada era già delineata.
Paolo Griffa: Da sempre, appena ho imparato a camminare mi sono precipitato in cucina a preparare dolci.
La vostra cucina in tre parole.
MM. Semplice, riconoscibile, basica (nel senso di tradizionale). Ora sto lavorando sulle cotture sotto sale, arriverò a nuove scoperte, spero, ma partendo dal passato.
PG. Tre verbi: stupire, emozionare, tentare. La mia cucina è seriosamente giocosa: rigore applicato a una visione ludica e ironica.
Cosa avete imparato dall’esperienza del S.Pellegrino Young chef 2015?
MM. È stata una di quelle esperienze che ti cambiano la vita, facendoti chiedere “Sto forse sognando”? E’ stato fantastico incontrare gente nuova, tanti sono diventati amici. La mia mentore Clare Smyth mi ha insegnato il rigore e la mia squadra la collaborazione.
PG. Partecipare è stato moltiplicare le mie conoscenze. In quei mesi ho imparato a mettermi alla prova, ho scoperto i miei limiti. Quello che mi ha più disorientato durante la gara è stato dover preparare il mio piatto per più di 300 persone.
In quest'ultimo anno avete viaggiato molto, quali sono i Paesi che oggi fanno avanguardia culinaria?
MM. L'Italia è avanti per qualità e varietà dei prodotti. Ma per me rimangono i Paesi Scandinavi quelli che fanno più ricerca.
PG. L'avanguardia è ferma. La faceva il Perù, o meglio lo si credeva. Ma se si va a guardare, si capisce che in Perù stanno scoprendo la cucina tradizionale. In certi Paesi avanguardia significa tornare al passato.
Cosa significa per voi essere chef etici?
MM. In Irlanda siamo obbligati a essere etici, se etici significa niente sprechi e rispetto per la terra. Nei ristoranti in cui ho lavorato vige un principio: perché mettere in carta un rombo o un crostaceo che devo importare, se usando le materie prime che trovo intorno a me risparmio e faccio risparmiare il cliente? L’etica diventa così anche una questione di buon senso. Usiamo i nostri agnelli: sono più saporiti, con il sentore di salsedine che prende la loro carne. Lavoriamo il salmone solo quando è migliore, da gennaio a marzo. Diventare etico significa anche seguire la natura.
PG. Etico significa onesto. Significa rispetto per il cliente e coerenza: se per condurre il mio ristorante mi impongo determinati principi, i miei fornitori devono pensarla come me. Si può usare anche il foie gras se lo prendi da chi alleva le oche non forzatamente.
La lezione più dura che avete imparato?
MM. A 16 anni, cucinare per 100 persone in due: un incubo.
PG. Un tiramisù venuto male mentre lavoravo nelle cucine di Davide Scabin: non vi dico la reazione!
Dove vi vedete tra dieci anni?
MM. Seduto nel mio ristorante, dove farò la mia cucina moderna. Dove si troverà? A Dublino, sono orgoglioso di essere irlandese.
PG. Nel mio ristorante a Milano. I miei clienti saranno trasportati in un viaggio tra stupori, provocazione ed esplosioni di gusto.