La notizia è di ieri, partita - come ormai quasi sempre accade - via social network. Da domenica Paolo Lopriore non lavorerà più al Kitchen, il ristorante del Grand Hotel di Como. Il gruppo Sheraton, che ha acquisito l'hotel e che il 25 marzo inaugurerà lo Sheraton Lake Como Hotel, ha chiuso la collaborazione con uno degli chef più controversi di Italia. C'è chi lo accusa di fare una cucina eccessivamente ermetica, difficile e faticosa. E chi lo considera, semplicemente, un genio. Dopo dieci anni a Il Canto della Certosa di Maggiano, e una stella Michelin data e poi tolta, Lopriore è arrivato sulle rive del lago di Lario meno di un anno fa.
Durante Identità Golose 2015 ha fatto un intervento (in prima fila Gualtiero Marchesi, che lo ha sempre definito il suo allievo prediletto) dopo il quale lo abbiamo intervistato. Sembrava molto felice della dimensione di Kitchen: uno spazio che si era ritagliato "in un luogo magico, da cui ho subito avuto un bel riscontro. All'inizio ero spaventato dalla diversità, dopo tanti anni in Toscana. Poi ho accettato i cambiamenti che mi ha imposto la terra: burro al posto dell'olio, pesce di lago. La mia cucina rispecchia il territorio, sempre". Per lui, d'altronde, l'ambiente che lo circonda è sempre stato fondamentale. "Mi sveglio prestissimo, alle sei" ci aveva raccontato "Ho bisogno di due ore solo per me, per arrivare in cucina in forma. Ogni giorno voglio una storia nuova da raccontare che ha bisogno di tempo, non credo nell'idea immediata. E per me è importantissimo fare il giro della spesa, dei miei produttori".
Né lo chef né la direzione del ristorante per ora rispondono ai giornalisti, ma noi abbiamo deciso comunque di riportarvi un'intervista che racconta la cucina visionaria (sua definizione) di Paolo Lopriore. Che speriamo trovi presto un altro luogo dove radicarsi ed esprimersi.
Partiamo dal suo intervento, una rivisitazione della cassoeula, piatto tradizionale lombardo. L'intervento si chiamava "W la convivialità dei grandi piatti della cucina italiana".
La mia cassoeula era scomposta: bollito da una parte, arrosto da un'altra, centrifugati di verdure da un'altra ancora. Il cliente si gestisce la cassoeula come meglio crede: un modo per cambiare il suo ruolo e portarlo da passivo a attivo. Una sfida che stravolge il senso originario di porzione, e ci libera dal ruolo incombente dello chef e del servizio. In ritorno a un senso più italiano dello stare a tavola.
In cosa consiste questo senso italiano?
Abbiamo acquisito un comportamento, a tavola e al ristorante, che non ci appartiene. Lo facciamo senz'anima. Due camerieri ci infastidiscono, la porzione ci ingabbia, il menù degustazione è un'imposizione - ma non ci appartiene, e tra poco svanirà.
E cosa arriva al suo posto?
Paghiamo ancora lo scotto della nouvelle cuisine: nonostante l'ampiezza di possibilità della cucina italiana abbiamo voluto guardare gli altri. Mi piacerebbe accorciare il menù: tre piatti sono sufficienti per esprimere un'idea di cucina, costruiti come la cassoeula, da gustarsi liberamente con i propri tempi. C'è il mio zampino ma cammuffato. A Como ho scoperto un modello diverso di tavola, quello caciarone: i clienti non vogliono sentirmispiegare ogni piatto, proporgli percorsi lunghi e tempi fissi. La cucina non ha bisogno di chiacchiere e concetti. Dobbiamo rivolgersi a un pubblico popolare, non solo di esperti.
Può una cucina come la sua rivolgersi a tutti?
A tutti sì. A tanti no, e infatti ho sempre lavorato in posti piccoli.
In prima fila al suo intervento c'era Gualtiero Marchesi, che per lei ha scomodato addirittura la definizione di genio.
Sono nato come chef proprio nelle sue cucine, nei sotterranei di via Bonvesin de la Riva, oltre vent'anni fa. Ora si parla continuamente di cucina, allora si parlava del mestiere di cuoco, dell'abitudine, dei gesti, del rigore.
Ma il suo interesse per la cucina, invece, quando nasce?
Credo di averlo preso da mia madre. La sua curiosità per il cibo, la sperimentazione continua - con il lievito madre, ad esempio - e la dedizione nel cucinare per mio padre, per la tavola familiare.
E lei cosa cucina, quando cucina a casa, per le persone che ama?
Cucinare per me è troppo un lavoro, non riesco a farlo per amore. Quando sono da solo mangio male: sbaglio il sale nell'acqua, uso pentole piccole per non doverle lavare.
E quando mangia fuori, quali sono i luoghi dove ama mangiare?
Non mangio fuori. Al ristorante vorrei privacy, in questo sì sono ermetico. Ma i colleghi che stimo sono tanti, anche tra quelli usciti come me alla scuola di Marchesi. Cracco, ad esempio: ben venga lui che va in televisione. Lui lo sa fare, io no, ma entrambi ci facciamo promotori del movimento italiano, ognuno con la propria sfaccettatura. È bella questa ampiezza.