Potete fare tutti i corsi che volete, avere quattro lauree in lingue diverse, conoscere tutti gli ideogrammi del mandarino e saper leggere il cirillico: alcune parole, per quanti sforzi possiate fare, rimarranno sempre intraducibili. O meglio, intraducibili in una sola parola. Il bello del linguaggio sta anche lì, in quel nocciolo di mistero e quelle sfumature di significato che non si riescono mai a riprodurre uguali. E molte delle parole intraducibili hanno a che fare con il cibo.
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Teguk, ad esempio: in Malesia, Indonesia e Singapore indica il gesto di bere una bottiglia in grandi sorsi. Quando si ha molta sete, certo, ma anche - soprattutto? - quando si ha molto bisogno di alcolici. Molto bella anche la norvegese Utepils. Il popolo scandinavo usa questo termine per descrivere la grande, incomparabile goduria di bere una birra all'aperto in una giornata di sole. E dove poteva essere stata inventata, se non in un paese dove i sei mesi di buio rendono i primi, tiepidi raggi di sole tanto preziosi? E parlando di alcolici, i tedeschi usano Schanpsidee per descrivere i piani geniali che si fanno quando si è alticci. Quei mirabolanti progetti che concepiamo al terzo bicchiere di vino, e che la mattina dopo non sembrano più così mirabolanti.
Immagine: Marja Turina
Un'altra grande passione in Scandinavia è il caffè, ovviamente non l'espresso ma quello lungo. E quindi gli svedesi usano spesso Tretår, ovvero il terzo refill che si fa alla propria tazza di caffè. In Nord Europa non c'è niente di strano nel bere il caffè anche mentre si pasteggia, per esempio con pane e, beh, Palegg: ovvero la parola norvegese che descrive tutto quello che si può mettere su una fetta di pane.
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D'altronde, paese che vai, ossessione alimentare che trovi: sempre nel Sud Est asiatico Pisan zapra è il tempo che ci vuole per mangiare una banana.
E attenzione, quando parlate in Afrikaans, a non confondere Padkos e street food. Il primo, infatti, non è esattamente cibo da strada, bensì il cibo che si prende prima di partire per un viaggio e che si mangia lungo il cammino - in senso figurato, ovviamente.
Immagine: Marja Turina
Ovviamente anche l'italiano ha le sue parole intraducibili. Culaccino è il segno che lascia un bicchiere sul tavolo (esatto, quello che qualsiasi padrone di casa teme quando invita molti ospiti, e li lascia circolare con il bicchiere in mano vicino a tavoli in pregiato legno di noce o raffinati scaffali di vetro). Pochi equivalenti linguistici anche per la Scarpetta, quella gloriosa invenzione con cui raccogliamo il sugo dal piatto.
E Abbiocco, il sonno postprandiale che ci prende dopo un pranzo pesante, è legato (quasi specularmente) a Sobremesa: in Spagna si chiamano così la chiacchiere che si imbastiscono davanti a una tavola ancora imbandita, tirando un pasto ben riuscito per le lunghe.