Per la prima volta, le principali associazioni di categoria del mondo gastronomico si sono riunite in un unico appello e hanno fatto squadra per presentare al Governo una petizione che tutti possono sottoscrivere a questo link. La petizione, lanciata da APCI - Associazione Professionale Cuochi Italiani, Associazione Cibo di Mezzo e comitato Ristoratori Uniti, con il supporto di AMPI - Accademia Maestri Pasticceri Italiani, Associazione Le Soste, Club Richemont, JRE Italia - Jeunes Restaurateurs d’Italia, Associazione Pizzaiuoli Napoletani e Ambasciatori del Gusto, non si limita a lanciare un messaggio per la ripartenza dell'intero comparto dopo l'emergenza Coronavirus, ma affronta anche questioni concrete, pensando a possibili soluzioni, con un approccio propositivo e sistemico.
I punti chiave della petizione
Per la prima volta, i referenti dell'universo italiano del cibo - chef stellati, ristoratori, comitati e associazioni di cuochi, pasticceri, panificatori, pizzaioli e produttori - promuovono tutti insieme un manifesto per salvaguardare l’intero settore in una fase di emergenza come quella che stiamo vivendo e, allo stesso tempo, chiedono alle istituzioni delle rassicurazioni fondamentali per la ripartenza.
"Cibo, vino, ospitalità: cultura e valori d'Italia. Salviamoli insieme!" si legge sulla raccolta firme, al momento siglata da oltre 4 mila persone. La petizione è nata facendo rete, per dare voce a tutte le categorie del comparto, che hanno manifestato sin dalla prima ora un grande senso di responsabilità, sospendendo le attività ancora prima che lo imponessero i decreti (lo avevamo raccontato qui). "Se oggi è il momento della responsabilità, domani sarà quello della corresponsabilità", scrivono i referenti sul comunicato ufficiale.
La petizione, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si focalizza su alcuni punti cruciali:
- richiesta di esonero del pagamento di tasse e contributi fino al 30 dicembre
- congelamento delle obbligazioni
- riduzione del 35 % della contribuzione previdenziale sul lavoro subordinato, prevedendo crediti di imposta da utilizzare per nuove assunzioni e/o per l’impiego di lavoratori svantaggiati
- la valorizzazione del Made in Italy
- la creazione di tavoli di lavoro con distributori e fornitori
- la detassazione di straordinari e benefits
L'unione fa la forza: le voci dell'intero comparto italiano
"Abbiamo pensato di coinvolgere tutti, perché vogliamo portare al Governo una serie di soluzioni. Proprio perché siamo imprenditori diretti o indiretti, vogliamo essere propositivi: non pretendere, ma dare. Noi non vogliamo dogmatizzare la ristorazione: ha tutta pari dignità, da chi fa lo street food a chi fa alta cucina, e questo è il valore del nostro Paese", ci ha raccontato Roberto Carcangiu, presidente di APCI, associazione che rappresenta oltre 5 mila cuochi. "L’idea è quella di raccogliere i desiderata attraverso la multi-disciplinarità, offrire al Governo un tavolo di lavoro. Spesso le associazioni di categoria sono autoreferenziali, mentre adesso è tutto molto più articolato. Abbiamo fatto un lavoro di ascolto, di sintesi e di soluzione per questa petizione: vogliamo essere pronti, arrivando alla riapertura con una serie di soluzioni già sul tavolo".
Quali sono le principali difficoltà economiche e gli aspetti cruciali della petizione per chi fa il cuoco? "La maggior parte dei piccoli ristoratori paga le forniture a 60 giorni, non sono capitalizzati, vivono dell’incasso quotidiano. Il cibo e le bevande per un ristorante non sono un costo: il problema sono i contributi dei dipendenti, le tasse in tutte le loro forme, ma anche l'affitto, spesso improponibile rispetto al prezzo medio cui si vende un piatto, soprattutto per chi si trova in città", spiega Carcangiu.
"Una volta, se un ristorante stava chiuso due mesi ce la faceva, ma oggi è tutto più pressante: le spese fisse sono talmente alte che non puoi permetterti di fermarti", ci dice Stefano Cerveni, chef stellato delle Due Colombe di Borgonato, titolare di altre nove attività a Milano e presidente di Cibo di mezzo, un'associazione che include 14 ristoranti e circa 40 produttori della zona di Brescia, Garda e Franciacorta. "Si tratta di un progetto che ho sposato tre anni fa e che per me è il futuro, visto che è nato con l'idea di creare rete tra produttori e ristoratori, in modo da creare sinergia e auto-promuoversi", racconta. E riflette su un altro aspetto della questione: "La ristorazione è la parte finale del lavoro dei produttori: è fondamentale per salvaguardare il tesoro delle micro eccellenze che abbiamo in italia. Quando ripartirà tutto, dovremo scommettere sulla ricchezza agroalimentare italiana, sul suo bacino che è infinito. Noi ristoratori abbiamo bisogno dei produttori e loro di noi. Un piccolo produttore non andrà mai in GDO: se non ci saremo noi a promuoverli, chi lo farà?".
Vincenzo Butticè, invece, ci offre interessanti analisi statistiche, utili per capire la situazione economica e le difficoltà dell'intero settore. È il presidente di Ristoratori Uniti, un comitato di recente istituzione, che riunisce circa 400 membri che vanno dalla piccola pasticceria al ristorante - "un gruppo nato dal basso, con la voglia di superare ogni colore, fazione, divisa, per affrontare i problemi comuni in modo trasversale, a prescindere dal guadagno", come ci ha spiegato. "Ci sono 1 milione e 200 mila lavoratori nella ristorazione, ma è fondamentale tutelare le aziende, perché nutrono anche i piccoli fornitori: basti pensare che la ristorazione compra il 37,5 % della produzione dell’industria agro-alimentare italiana (codici Ateco 10 e 11)". Cosa significa in termini economici fermare il settore? "Dai dati Istat 2018, ricaviamo che ogni trenta giorni la ristorazione - codice Ateco 56 - perde oltre 13 miliardi, ossia 13.264.436.000 euro, mentre l'ospitalità - codice Ateco 55 - perde più di 7 miliardi ogni trenta giorni (per la precisione, 7.397.260.273 euro); gli artigiani f&b - come pasticceri e gelatieri, ossia codice Ateco 10 e 11 - perdono quasi 4 miliardi ogni trenta giorni (per la precisione, 3.931.890.410 euro). Dunque tutto il comparto ogni 30 giorni perde più di 24 miliardi di euro, considerando solo il diretto, senza l'indotto".
"A noi interessa il come più del cosa, a proposito di emergenza e ripartenza. Non vogliamo superare il problema con una logica a tampone, ma con questa petizione auspichiamo una policy sistemica, propositiva, con una visione di insieme: solo questo può contribuire a un piccolo cambiamento. Le persone non si devono innamorare delle proprie idee, ma fare brain storming e avere idee di gruppo che celebrino i valori del bene comune e della condivisione, lasciando perdere gli individualismi", conclude Butticè.
Dagli chef stellati ai JRE: diversi punti di vista, un orizzonte comune
Hanno sottoscritto tutti la petizione, lanciando un chiaro messaggio di unione, per cercare di salvare le sorti dell'universo gastronomico italiano. Tra le organizzazioni coinvolte c'è l'associazione Le Soste, presieduta dallo chef stellato Claudio Sadler. "Il danno economico è ovviamente molto alto: abbiamo buttato molte materie prime, visto che abbiamo dovuto chiudere da un momento all'altro. Il delivery? Per un ristorante di alto livello deve essere fatto molto bene, non ti puoi affidare ai consueti sistemi", ci spiega.
"Oltre agli affitti, altro problema sono le tasse, contributi e gli accertamenti fiscali: sicuramente fra due anni ci verranno a fare dei controlli perché nessuno chiuderà il bilancio in positivo nel 2020. La chiusura, che di fatto sarà di tre mesi, ci metterà a dura prova, alcuni rischiano di non aprire più. Quanto alle banche e ai finanziamenti, bisognerà vedere se tutti gli istituti bancari saranno disposti a dare credito a tassi bassi, rispettando ciò che ha detto Conte: senza il loro aiuto non si riparte", continua.
Chi fa alta cucina, poi, si sta interrogando sul quando, ma anche sul come si ripartirà: "Il turista internazionale, che al 50% è quello che frequenta i nostri ristoranti, quando lo rivedremo? Bisogna avere un impatto grande: una volta raccolte le firme, dobbiamo avere qualcosa di forte da presentare a qualcuno che possa darci delle risposte. Penso sia l’unica strada percorribile: siamo gente che lavora e che è abituata a farlo", conclude Sadler.
Anche gli Ambasciatori del Gusto, presieduti dalla chef stellata Cristina Bowerman, hanno promosso la raccolta firme. "Sono molto contenta di questa petizione, l'abbiamo supportata come associazione ed è effettivamente la prima volta che ci sono tutti i rappresentanti di categoria. C’è una grandissima burocratizzazione in Italia, che non agevola: soprattutto in momenti di emergenza, ci vorrebbe uno snellimento delle procedure, e questa petizione risponde in maniera intelligente a chi pensa di dover affrontare tutto con la vecchia mentalità, che burocratizza ogni cosa", ci spiega.
Quali saranno le conseguenze economiche dell'emergenza? "Per quanto riguarda il mondo della ristorazione, noi ci perdiamo tutti, a prescindere dalla tipologia di attività: per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, ci troviamo di fronte a una grande emergenza. Con la globalizzazione i problemi sono gli stessi, bisogna leggere i dati a livello mondiale, perché prima della primavera 2021 nessuno si riprenderà. Credo che a un certo punto arriverà il momento in cui ci si chiederà: vale la pena stare aperto? Se non ci sono incassi, non si possono pagare i dipendenti. I soldi questi sono, però. Noi possiamo chiedere tutto, ma il problema è: che cosa è possibile fare? Anche alla riapertura si farà fatica, perché, ammesso pure che ci siano dei prestiti garantiti dallo Stato a interessi comprensibili, anche le società che forniscono il cibo dovranno avere delle garanzie, altrimenti noi da dove andiamo a prendere i prodotti? Ci sarà tanta gente che potrebbe non riaprire, o potrebbe decidere di cambiare lavoro, ristoratori che si chiederanno: mi conviene stare aperto per accumulare debiti per 6 mesi? Tra l'altro, l'autonomia regionale talvolta è positiva e talvolta è negativa: non tutte le regioni hanno già erogato dei fondi". Come vede il futuro? "Cambieranno le abitudini sociali: credo che la gente, appena potrà uscire, andrà in cocktail bar con amici, oppure uscirà per provare piatti speciali di alta cucina, e il delivery funzionerà molto bene".
Filippo Saporito, presidente JRE Italia, ci spiega il significato e l'importanza della petizione per il suo gruppo, che attualmente conta 74 ristoratori fine dining. "Aver supportato la petizione promossa da APCI non rappresenta soltanto un passo concreto verso la progettazione e richiesta di soluzioni utili alla ripartenza del comparto ristorativo, ma anche la possibilità di farci sentire con una voce unica e unita, in un contesto che comprende altri ambiti e categorie di settore. Questo anche alla luce del fatto che, in quanto fine dining, rappresentiamo una realtà sicuramente più marginale, ma comunque specchio dell'eccellenza italiana".
E aggiunge qualche riflessione sull'oggi e sul domani. "La situazione attuale, per tutti noi, risulta essere di grande emergenza anche e soprattutto perché non riguarda solo la contingenza dell'oggi, ma si estende a dubbi e incertezze sul domani. Per intenderci, ancora non sappiamo il come e quando potremo tornare a una sorta di normalità, questo ci impedisce di ideare progetti e visioni il più realistiche possibile. Ciò di cui sono sicuro è che, certamente, dovremo confrontarci con una clientela più locale, anche se ci vorrà del tempo. Ci rivolgeremo subito al mercato e alla domanda interna, per questo dobbiamo cercare di accrescere ancora di più l'amore e l'attaccamento alla nostra italianità, anche utilizzando prodotti nazionali e dando un apporto significativo al made in Italy in fatto di produzione, accoglienza e turismo. Un altro aspetto che reputo imprescindibile è che le piccole aziende dovranno avere la tenacia di mantenere la loro forza lavoro, ovvero i dipendenti e collaboratori che rappresentano la nostra differenza, quella di un servizio professionale di alta qualità che va difeso".
Pasticceri, pizzaioli e panificatori: l'arte bianca si unisce alla ristorazione
"Per quantificare la perdita ci vorranno mesi: si tratta di una perdita non solo economica, ma anche sociale", ci dice Gino Fabbri, presidente di AMPI - Accademia Maestri Pasticceri Italiani. "Per un pasticcere infatti non è quantificabile il danno di questa emergenza, perché non è solo il mancato incasso del periodo, ma è soprattutto la disabitudine che avrà la gente nei nostri confronti come consumi: ora le persone sono in casa e hanno la possibilità di fare ciambelle, biscotti, torte, ma bisogna vedere se, superata la crisi, le abitudini torneranno le stesse di prima. Non trovarsi più con amici e non avere più frequentazioni avrà delle ripercussioni sulla pasticceria, che serviva nel momento dell’aggregazione e delle ricorrenze: è cambiato tutto", continua Fabbri.
E aggiunge: "Per noi la Pasqua significava la quattordicesima dei dipendenti, ma anche la possibilità di avere un Natale un po’ più facile in termini di spazio: ora per esempio io ho tutti gli imballi e le materie prime che non userò per la Pasqua, tutti gli ordini aziendali tra l'altro sono svaniti. La pasticceria ha subito tanto in questa situazione, ma anche la ristorazione soffre come noi, e ci sono realtà messe anche peggio: basti pensare a quelli che aprono solo in estate, durante la stagione turistica, che quest'anno sarà difficilissima".
Quali sono i punti salienti della petizione per un pasticcere? "Il problema della liquidità per una pasticceria è il più importante. Dopo l’estate sarà un problema pagare le tasse, visto che il termine è stato spostato al 30 settembre: senza il Natale - che è l'introito maggiore per avere assorbibilità per noi - è dura. Speriamo solo che ci sia un ripensamento dall'Europa e che arrivi un piano con finanziamenti a fondo perduto come è stato nel Dopoguerra", conclude il maestro pasticcere.
Anche il mondo della pizza partecipa alla petizione. Sergio Miccù, presidente dell'Associazione Pizzaiuoli Napoletani, organizzazione che conta 1200 iscritti nel mondo (di cui 650 in Italia), che ha disciplinato il marchio Stg per la pizza e ha portato avanti la campagna per ottenere il riconoscimento come Patrimonio Unesco dell'Arte del pizzaiuolo napoletano, commenta così l'iniziativa collettiva: "Per me è giusto che ci sia una forza unica, e non tante petizioni dispersive, questo è importante: la raccolta firme è aperta a tutti e riguarda tutti, a prescindere dalle varie distinzioni di categoria. Invitiamo anche i consumatori ad appoggiarla, perché è impensabile avere un territorio senza ristorazione, senza pizzerie: stare chiusi per oltre un mese è un danno incredibile: in Italia ci sono circa 50 mila pizzerie, si può immaginare l’indotto, se consideriamo che in ogni pizzeria ci sono minimo 4-5 persone"
Nella Regione Campania, secondo le disposizioni del Governatore De Luca, le pizzerie non possono effettuare il servizio di delivery. Cosa significa in termini economici l'arresto per due mesi di una pizzeria? "Il calcolo è presto fatto - risponde Miccù - siamo sui 1000 - 1.200 euro al giorno come media di incasso lordo per ogni pizzeria. Ma non dobbiamo dimenticare che bisogna salvare anche le pizzerie d’asporto, oggi ce ne sono tante aperte da molti giovani, che vanno tutelati".
Gli unici che possono lavorare in questo momento sospeso, di chiusura delle attività per l'emergenza Coronavirus, sono i panificatori. Eppure, anche chi sforna tutti i giorni il pane e continua - seppure tra mille difficoltà - a portare avanti il proprio lavoro, ha abbracciato il manifesto. "In negozio si fattura molto meno perché la gente non può uscire, ma con il servizio a domicilio riusciamo a fare un buon lavoro", ci dice Roberto Perotti, presidente del Richemont Club Italia, che raggruppa 250 panificatori. "Io opero nella provincia di Brescia, una delle aree più colpite dal Coronavirus in questo momento, ma la categoria sta vivendo comunque un momento difficile: i colleghi che hanno un panificio in città stanno lavorando molto poco e vivono appieno la crisi", racconta.
"Ho aderito a questa petizione perché sono convinto che, anche con l'aiuto che dovrà esserci da parte del Governo, dovremo riuscire a creare una sinergia ancora più forte con tutto il comparto alimentare, per ripartire alla grande dopo l'emergenza. Una sinergia perché tutti dovremo trainare quelle parti del settore che sono state maggiormente danneggiate in questo momento. Noi panificatori che abbiamo avuto la fortuna di poter lavorare, anche se meno in questo periodo, dobbiamo essere tra quelli che riusciranno a trainare un po' la ripartenza del settore. Mi auguro che tutto si risolva al più più presto". Un augurio cui ci uniamo anche noi.
A questo link trovate il testo integrale del manifesto e la petizione.