Piergiorio Parini è una delle figure più sfuggenti e difficilmente incasellabili della cucina italiana. Dopo un palmares di tutto rispetto - in cui entrano anche Le Calandre - nel 2006 è arrivato al ristorante Il Povero Diavolo di Torriana, paesino di 5000 abitanti appollaiato sulle colline riminesi, dove ha conquistato una stella Michelin lavorando fianco a fianco con il patron Fausto Fratti.
Anni di enormi soddisfazioni, come il premio Miglior Giovane Cuoco per la Guida Espresso (2010) e quello Chef del Futuro per L’Accademia Della Cucina di Francia (2015), in cui Fausto e Piergiorgio hanno anche organizzato uno degli eventi enogastronomici di maggior successo in Italia, Spessore, organizzato contemporaneamente alla Scorticata. E poi, nel 2016, arriva improvvisa la notizia: lo chef romagnolo lascia quella che è stata la sua casa per dieci anni. E non lo fa per un altro ristorante. Nonostante diversi finti ‘scoop’ e altrettante smentite, Parini in un ristorante non è tornato - e non ha nessuna intenzione di tornare.
Abbiamo incontrato Piergiorgio a Ein Prosit, dove ha preparato una cena in cui figurava anche un suo classico, il Riso in Bianco cotto in brodo di cipresso, e in cui abbiamo ritrovato alcuni dei leit motif della sua cucina, come l'amaricante spinto delle Animelle, castagne e cavolo nero e lo spiazzante accostamento vegetale di Bietola, kiwi e bottarga.
Partiamo dal presente. Quali progetti sta seguendo?
Faccio principalmente consulenze. Lavoro nel settore ricerca e sviluppo di un’azienda bio e mi sta appassionando. Al momento stiamo sviluppando una linea di biscotti solo di ceci senza burro.
Lavorare in un ristorante le manca?
Non ho mai pensato che tutto il mio mondo iniziasse e finisse in cucina. Lavoravo per 365 giorni per 16 ore al giorno e a un certo punto mi mancava l’aria. Volevo provare a fare altro e soprattutto decidere del mio tempo. Inoltre nell'ultimo anno sono diventato padre: se metto su famiglia voglio starci. Il lavoro serve ma non è tutto.
Esclude di tornare in un ristorante in futuro?
Sono un viscerale: lavoro sempre al massimo delle mie possibilità. In questo momento mi sto concentrando sulle consulenze. Se mai ne avrò nuovamente voglia tornerò in cucina, ma per ora non ci penso proprio.
Nel 2016 ha detto addio a Il Povero Diavolo. Una rottura pacifica?
C’era qualcosa che non andava da un po' e quel qualcosa ero io. Non volevo trascinarla e rovinare quello che è stato un bellissimo percorso. Io e Fausto bbiamo preso le misure strada facendo, ci siamo cuciti addosso il ristorante, cercando di dimenticare tutto quello che avevamo imparato prima.
Lei non è mai stato uno chef 'mediatico'. Una scelta precisa?
Non sono portato per quella cosa lì. Ci ho provato e non mi sono sentito a mio agio. Se una cosa non la sento mia non la faccio.
La soddisfazione più grande in tutti quegli anni?
Torriana è un posto svantaggiato ma al tempo stesso favorito: i clienti arrivano per un motivo. La soddisfazione più grande era quando riconoscevano quello che facevamo come unico. Se guardo foto di 10 anni fa vedo cose ora scontate e mi dico “qualcosa di buono l’abbiamo fatto”.
Ci fa qualche esempio?
L’importanza che davamo alla parte verde, amara, acida di un piatto. Ci prendevamo per matti, ora sono in tanti a fare piatti solo vegetali. Ma non ci credo che tutti quello che dicono di fare foraging lo facciano davvero. Sono cose cicliche: qualche anno fa tutti usavano il sifone, ora se lo usi sei uno sfigato, tra due anni tutti useranno le castagne bollite. Non mi sono mai legato alle mode, se avevo voglia di mettere solo quattro rognoni di coniglio in un piatto lo facevo.
Il miglior complimento mai ricevuto?
Qualcuno mi ha detto che a Torriana ha trovato qualcosa che non aveva trovato da nessun'altra parte nel mondo.