Sta diventando sempre più terreno di sperimentazione e di indagine. La pizza cambia, si evolve, conquista nuove vette ed esplora nuovi territori. E riflette i paesaggi che la circondano e la natura più wild, tra ingredienti spontanei ed erbe selvatiche. Tanto che il binomio pizza e foraging è sempre più forte: l'introduzione, sul disco di pasta lievitata, di prodotti selvatici raccolti direttamente dai pizzaioli o da esperti forager, rappresenta una delle ultime frontiere del mondo dei lievitati.
Ecco allora proposte inedite e sostenibili, a basso impatto ambientale, con topping capaci di trasportare il palato nella natura più selvaggia, tra sapori autentici e gusti genuini di terre inesplorate.
Scoprite, qui di seguito, dove assaporare pizze d’autore all’insegna del foraging.
Wood*ing Wild Food Lab: la pizza della forager Valeria Margherita Mosca
La prima volta che si è confrontata pubblicamente con un lievitato? “Ho fatto una pizza foraging a Slow Fish qualche anno fa”, racconta Valeria Margherita Mosca, fondatrice di wood*ing wild food lab, laboratorio di ricerca sui temi dell’alimentazione sostenibile e dell’utilizzo del cibo spontaneo per la nutrizione umana, tra le massime esperte in Italia in tema di foraging.
Nella Pizza wooding lab, che spesso propone in degustazione nel suo laboratorio brianzolo (che a breve avrà una nuova sede a Monza), usa un impasto a base di farina di sussistenza di corteccia interna di betulla, topping di taleggio di capra, agone fermentato e in salamoia, fragole, fiori di sambuco e olio acido.
“Le nostre sperimentazioni sulla pizza a wooding vertono sempre sull’utilizzo negli impasti delle nostre farine di sussistenza, ossia farine composte in parte da ingredienti selvatici essiccati e macinati con alcuni grani. La ricerca sulle farine di sussistenza di alberi come l’abete rosso, il tiglio, la betulla, le farine di sussistenza di licheni, di fiori e di frutti selvatici sono state uno dei primi focus di wooding wild food lab, fin dai primi anni del muovi millennio (2007)”, spiega Mosca.
“Da allora continuiamo sempre, con passione e dedizione, lo studio di questa possibilità, e ancora oggi riportiamo in auge un sapere antico arricchendolo con la ricerca scientifica tipica del nostro lavoro e la necessità contemporanea di una sostenibilità sempre più profonda e vera”, aggiunge.
Nel suo ultimo libro, Imparare l’arte del foraging (Giunti, 2019), dedica un intero capitolo agli studi sulle farine di sussistenza e al loro utilizzo. “Ho adottato un approccio non solo culturale, e a fine organolettici, ma anche chimicamente funzionale in cucina. Gli ingredienti selvatici che utilizzo per le farine di sussistenza contengono alcuni elementi molto funzionali per gli impasti come la carragenina, l’amido, la pectina e molti altri”.
Da Ezio, Alano di Piave: il sapore della montagna sulla pizza di Denis Lovatel
Foto Aromi.group
Denis Lovatel della Pizzeria Da Ezio ad Alano di Piave ha appena conquistato per la seconda volta il titolo di Pizza dell’Anno assegnato dalla Guida Pizzerie del Gambero Rosso 2021 per la sua Rivoluzione Vegetale (fiordilatte, scarola riccia, carpaccio vegetale di anguria, chips soffiate di Grana Padano, hummus di fagioli gialet, granella di nocciole e olio extravergine d’oliva alla brace). È un pizzaiolo molto sensibile ai temi ambientali, amante del paesaggio e delle vette, tanto da essersi trasferito in malga questa estate, per vivere appieno la natura delle sue adorate montagne.
“Negli ultimi tempi mi sono concentrato sui prodotti selvatici: 15 anni fa circa, quando ho iniziato a fare qualcosa di ricercato, ho cominciato a usare prodotti Slow Food e chicche come il capocollo di Martina Franca, per esempio. Poi un giorno mi sono chiesto: 'ma perché devo proporre ingredienti pugliesi, quando qui ho un altro territorio da raccontare?' In un’ora posso essere a 2.500 metri, a piedi arrivo tranquillamente a 1.500 metri - racconta - e trovo diverse specie selvatiche che raccolgo io, oppure diversi forager del posto che mi portano prodotti spontanei come l’aglio orsino, il levistico (sedano di montagna), i carletti (stridoli), l’ossalide (simile all’acetosa), il Buon Enrico (uno spinacino selvatico) e il radic du mont, ossia il radicchio dell’orso o di montagna. Mentre il pianura troviamo il tarassaco, per esempio”.
Detto fatto, ecco pizze come l’Orto Verde: un gioco di parole perché sotto un orto composto da un’insalata di erbe diverse, c’è l’Erborinato verde, un formaggio erborinato, appunto, di alta montagna. “Si tratta di una pizza bianca, con fiordilatte, chutney di frutti di bosco selvatici, sopra un prato verde di diverse erbe a seconda di quello che trovo (levistico, pimpinella, Buon Enrico, carletti)”, spiega il pizzaiolo. “La bellezza di questa pizza è che sei convinto di mangiare erbe, mentre in realtà sotto l’orto trovi dei sapori forti, un’esplosione di gusto, ci sono anche le nocciole”, aggiunge Lovatel.
“Il momento ideale per creare 'pizze foraging' è dalla primavera inoltrata a luglio; poi conservo i prodotti sott’aceto, come per esempio il radicchio di montagna, o il tarassaco, per poterli utilizzare anche in inverno”. Un must della stagione fredda Da Ezio, infatti, è la pizza con tarassaco e lardo.
Il foraging è la nuova tendenza della pizza? “Come ho spiegato a Food on The Edge (congresso dedicato alla sostenibilità che si è tenuto lo scorso anno in Irlanda, dove Lovatel era l’unico italiano presente con uno speech, ndr), noi utilizziamo la pizza come linguaggio di comunicazione per i giovani: la pizza viene mangiata da tutti, ed è bello che i clienti mi chiedano spiegazioni su cosa siano i vari prodotti usati per il topping. È anche bello far conoscere un territorio attraverso la pizza, e usarla come mezzo per comunicare valori quali la sostenibilità e l’amore per pratiche green come lo stesso foraging: un’attività a impatto zero, se fatta nel rispetto delle regole e della natura”, conclude Lovatel.
I Masanielli, Caserta: è Inumana la pizza selvatica di Francesco Martucci
Foto wearefactory.it
Anche il numero uno di 50 Top Pizza 2020 Francesco Martucci non è rimasto indifferente al fascino del selvaggio. Ed ecco ingredienti spontanei fare capolino sulle sue pizze pluripremiate. L’impasto della Inumana, “un nome che indica qualcosa di straordinariamente buono”, specifica il pizzaiolo, è cotto con il triplice metodo che ha messo a punto: al vapore, fritto e al forno. "Un procedimento che conferisce una consistenza completamente diversa da tutti gli altri impasti, molto identitario”, racconta.
Diverso il metodo di cottura, ma anche l’impasto (a base di semi misti, da quelli di girasole a quelli di lino), e il topping, che si fa wild. Si tratta infatti di una pizza condita con bietola selvatica saltata al burro di Normandia, baccalà mantecato al latte di bufala, zest di limone e cipolla di Acquaviva delle Fonti croccante.
“La bieta spontanea viene raccolta in Irpinia da Roberto Vetromile, il mio forager di fiducia”, precisa Martucci. E, a seconda della stagione, propone anche altre pizze selvatiche come La Misticanza, con un’insalata di trenta tipi di foglie, mozzarella di bufala, battuta di fassona e orzo fermentato, “ingrediente, quest’ultimo, che riprende il tema del tornare indietro nel tempo, portando nel futuro la prima forma di conservazione”.
Le Grotticelle, Caggiano: il Cilento wild sulla pizza di Angelo Rumolo
“Tutti i giorni vado a raccogliere, accanto alla pizzeria e al ristorante abbiamo un’azienda agricola di famiglia, La Carlina: in mezzo alla natura e ai suoi frutti ci sono cresciuto”, racconta Angelo Rumolo, anima de Le Gotticelle a Caggiano, al numero 10 di 50 Top Pizza 2020, vincitore del Premio Innovazione e sostenibilità ambientale.
“Stando con gli anziani della zona, sin da bambino, ho imparato a riconoscere e a raccogliere i prodotti spontanei della zona”, continua. Da assaggiare in questo periodo? La pizza Condrilla: “abbiamo trovato, da un anno a questa parte, la corla, termine dialettale con cui indichiamo la chondrilla juncea, appunto: una pianta dal sapore leggermente e piacevolmente amaro”, racconta il pizzaiolo. “Appartiene alla stessa famiglia della cicoria selvatica, ma cresce in habitat e in periodi molto diversi rispetto alla cicoria (che va consumata cotta), mentre la corla si mangia cruda e cresce dove ci sono terreni coltivati”.
“Con il locale siamo a 1.000 metri di altezza, e quando viene fatta la raccolta delle patate, per esempio, si zappa il terreno e so che dopo quindici giorni cresce la corla. Come riconoscerla? Si tratta di una cima piccola a forma di numero tre, ha poche foglie, e come si strappa fa fuoriuscire subito il latte alla radice”, spiega.
“Si mangia fresca all’insalata e in questo periodo faccio la pizza Condrilla con corla, mela annurca, aceto di mela e caprino fresco: è molto semplice, ma saporita”. Nelle altre stagioni? “In inverno vado personalmente a caccia di tartufo nero e bianco, in Lucania, mentre in primavera ci sbizzarriamo con la cicoria selvatica, gli asparagi selvatici e l’asfodelo giallo, che cresce sui costoni di Caggiano, si recupera solo lo stelo morbido, è dolciastro, ottimo sia da crudo sia marinato, lo uso sulla pizza a crudo con fior di latte e all’uscita aggiungo menta e ricotta affumicata”, risponde. “Poi abbiamo riscoperto la carlina, pianta che si chiama come la nostra azienda agricola, che è un bulbo di montagna. Si raccoglie con il piede perché ha le spine che pungono, va staccato con un’ascia, ci facciamo le confetture o le mostarde, ma soprattutto la pizza Parmigiana di Carlina, con il bulbo grigliato". Un prodotto spontaneo che assomiglia a una patata cruda, che, una volta arrostita, lascia un inedito velo aromatico.