Sulla West Coast americana è uno degli ultimi “must” della gastronomia alla moda. Il successo mondiale del pesce crudo continua in forma di poke, un’insalata che viene dalle isole Hawaii. Dopo la secolarizzazione del sushi, il ritorno dei carpacci mediterranei e la diffusione del peruviano ceviche, adesso è l’ora dell’arcipelago pacifico.
LA RICETTA
Il poke – che qualcuno ha ribattezzato “poki”, in qualche forma rivisitata – sono cubetti di pesce crudo conditi e macerati con ingredienti vari, la cui base è di solito composta da salsa di soia e/o olio di sesamo, sale marino e cipollina e/o cipolla (in particolare quella dolce di Maui, largamente coltivata nelle Hawaii – dove le cipolle furono peraltro introdotte solo nell'Ottocento).

Gli altri ingredienti variano dal peperoncino al peperone, dall'avocado alle alghe (soprattutto la locale alga rossa Limu), dai semi di sesamo alle uova di pesce, dalle noci macadamia allo Inamona, un condimento di noci moluccane tostate e tritate.
Insomma, una semplice ed esotica insalata di pesce crudo, sana e fresca, come odierna cucina comanda. In fondo è molto simile alla giapponese Bara Chirachi, che altro non è che sushi servito in una ciotola a mo' d'insalata (“chiraci “ significa “sparpagliato”). Condito con vari ingredienti (di solito 9), nella versione più comune in madrepatria arriva paradossalmente a non contenere alla fine nessun prodotto del mare ma, a differenza della specialità hawaiana, ha sempre una base di riso.
LE VARIANTI
La selezione di ingredienti del poke odierno è in effetti molto condizionata dall'influsso della cucina giapponese e altre cucine asiatiche; per esempio wasabi e il coreano kimchi sono assai popolari. Come in ogni specialità di pesce crudo che si rispetti, di fondamentale importanza è il modo di tagliare: la parola hawaiana “poke” non si riferisce alla pietanza stessa, ma proprio all'atto stesso di "affettare, sezionare o tagliare di traverso a pezzettini”. È quello il segreto dei bocconcini hawaiani, la cui taglia varia a seconda delle preferenze. Tradizionalmente il poke viene servito già composto, ma ristoranti e bar che l'hanno adottato optano sovente per la formula “fai da te”, lasciando al cliente i vari ingredienti in esposizione, da poter mischiare a piacimento.
Anche i tipi di pesce e di frutti di mare variano: il poke nasce come insalata di tonno fresco pinna gialla (“ahi” in lingua hawaiana), ma si serve oramai anche con salmone piuttosto che polpo, granchio, muscoli o vongole. E una delle sue grandi attrattive è proprio questa: non c'è essere vivente dei nostri mari che non rischi di finire in un'insalata stile hawaiano, tant'è che i locali in primis l'hanno sempre mangiato con ciò che il pescatore portava a casa, a partire dal pesce di barriera corallina.
I RISTORANTI
E a questo punto si capisce come ogni chef col coltello allenato a poke possa poi sbizzarrirsi in condimenti e abbinamenti originali, per esempio quello con olio e latte di cocco. Los Angeles – metropoli in cui nascono molte delle tendenze culinarie che poi si diffondono in tutti gli States – è certamente in prima fila nel proporre questo modo alternativo di mangiare il pesce crudo, che è già sbarcato in altre capitali della cucina mondiali, quali Singapore. La sua diffusione più capillare nel mondo pare oramai quasi scontata.