"L'uomo che parlava agli ingredienti". Raffaello Mazzolini scherza - ma non troppo - quando si definisce così. "Devi sentire parlare i prodotti, ascoltare quello che hai da dire e poi essere capace di zittirli". Lo chef friulano, nato 42 anni fa a Tolmezzo, fra i monti della Carnia, ha una leggerezza delicata e allo stesso tempo vivace nel raccontarci del suo lavoro.
Lavoro che da tre anni si svolge a Udine, nel ristorante Agli Amici, che la famiglia Scarello guida dal 1887 e con cui ha conquistato due stelle Michelin. Prima di tornare nel suo Friuli, però, ha lavorato - tra gli altri - anche a La Dolada, a Isola Rizza e al Joia di Pietro Leemann ("Una persona squisita. È stato bravo a contenere la mia adrenalina di giovane, e a farlo sempre senza volgarità, una rarità nella cucina di oggi").
Cosa l'ha portata, o meglio riportata, a Udine?
Conoscevo Emanuele Scarello da 15, 20 anni. C'erano stati dei momenti in cui avremmo potuto lavorare insieme, ma poi per un motivo o per l'altro non è successo. Evidentemente i tempi erano maturi. Lui mi ha cercato e io ho detto sì.
Aveva 39 anni. È difficile cominciare a lavorare insieme così tardi?
Ci tengo a dirlo: io non mi considero un dipendente, ma una parte della famiglia "professionale" Scarello. Agli Amici non ci sono clienti, ma ospiti, che ospitiamo nella nostra casa. Quello di chef non è un mestiere che puoi fare come un operaio: non è lavoro, è vita.
Gli orari, la fatica, il poco tempo per se stessi e la propria famiglia. Non ha mai pensato di cambiare?
Mi sono chiesto tantissime volte quale avrebbe potuto essere una carriera alternativa. Questo lavoro è un sacrificio per tutti, per me, per mia moglie e per le mie figlie. La verità, però, è che so fare questo! E comunque anche a 42 anni non mi ritengo uno chef arrivato. Ogni giorno è un storia a sé, e devi metterci sempre la stessa intensità, sia in allenamento che alla finale.
E gestire una brigata di cucina è difficile?
Ho qualche ora "di volo" in più di loro, diciamo, e posso trasmettere loro un po' di esperienza. Ma siamo una squadra, tutti insieme: è il gruppo che fa la differenza. I grandi talenti naturali in cucina servono meno di quelli che sono diventati bravi attraverso l'allenamento. E poi basta con gli chef "protagonisti": siamo cuochi, non scienziati. Il nostro compito è solo far stare bene gli ospiti.
E lei da Emanuele cos'ha imparato?
L'attenzione al dettaglio. Lui è esigente, a volte maniacale, e sa che sono le cose piccole che fanno la differenza. Specialmente per noi che lavoriamo a Udine, e non in una grande città: quando hai un bacino di utenza scarso non puoi permetterti di sbagliare.
Se dovesse definire la cucina che fate Agli Amici, che parole userebbe?
Viva. Riconoscibile, le persone devono capire un piatto. E - scusa se l'hai già sentito - stagionale. Sono le verdure, i germogli, le erbe che cambiano a ogni stagione a creare un piatto. Oggi abbiamo proposto a due ospiti un piatto nuovo, dove avevo aggiunto un cuore di sedano all'ultimo momento, quasi per illuminazione: sentivo che mancava qualcosa. Loro l'hanno assaggiato e hanno detto "È quella foglia che fa la differenza".