Nato in una cittadina di montagna non molto distante da Valencia, Ricard Camarena inizia a farsi notare nel mondo dell'alta cucina con l'Arrop a Gandia. Oggi, con base a Valencia, è una delle figure di spicco del fine dining spagnolo, conosciuto e celebrato anche fuori dai confini del Paese. Non soltanto con il ristorante che porta il suo nome, con le sue due stelle Michelin e la stella verde per la sostenibilità, ma con tutta una serie di insegne diverse fra loro che hanno vivacizzato più che mai il panorama gastronomico valenciano.
È stato proprio lui, il 16 ottobre 2022, il protagonista di una delle serate di S.Pellegrino Sapori Ticino la rassegna gastronomica svizzera, ideata da Dany Stauffacher, apprezzata a livello internazionale. Tema di questa edizione della kermesse? España ahora, naturalmente. Chef Camarena è così approdato a Lugano con una brigata di quattordici elementi per affiancare lo chef Dario Ranza al ristorante Ciani, autentica istituzione nel panorama della ristorazione ticinese.
Noi di Fine Dining Lovers l'abbiamo incontrato in questa occasione per farci raccontare la sua storia e la sua idea di cucina.
Lei è nato e cresciuto a Barx, non molto distante da Valencia, la città dove poi si è stabilito per aprire il suo ristorante. Quanto c'è di questo territorio nei suoi piatti?
Nei miei piatti ci sono tutte le mie origini e il mio territorio. Gli ingredienti tipici, le antiche ricette, i loro sapori mi hanno influenzato da sempre. Quando, com'è naturale che sia, ho iniziato a vedere i limiti che una piccola realtà mi sono diretto verso la città più grande nella zona in cui stavo, quella che, a quell'età, mi sembrava il luogo capace di fornirmi grandi occasioni: Gandia. Successivamente Valencia sarebbe stata una scelta nata da una riflessione simile.
Già a Gandia ha fatto molto parlare di sé con la sua cucina. Cosa le è rimasto di più di quel periodo?
Sono certamente cresciuto dal punto di vista professionale. Come dicevo, Gandia fa comunque parte di un territorio a me familiare. Lavorare lì significava dunque avere già dimestichezza con quelle che sono le ricette tipiche, i prodotti locali. Ciò che mi rimane di più? Certamente l'esperienza del mio ristorante Arrop, che tante soddisfazioni gastronomiche mi ha dato, inclusa la stella Michelin.
Quando si è fermato definitivamente a Valencia?
Quattordici anni fa. Inizialmente non feci altro che trasferire l'Arrop da Gandia, che ha meno di 75.000 abitanti, a Valencia, che ne ha quasi 800.000. Era una sfida necessaria: la mia volontà era quella di crescere e quindi la direzione naturale divenne quella di spostarmi in una città più grande, con un pubblico più ampio e variegato con cui confrontarmi. Il ristorante si trovava all'interno di un bellissimo hotel, era grande e lussuoso.
Una situazione apparentemente ottimale. Cosa l'ha spinta a cambiare e ad aprire il Ricard Camarena Restaurant?
Lavorare in quella realtà fu un grande privilegio. Ma, in un contesto così importante, cominciavo a notare dei limiti: la struttura e il ristorante mi impegnavano moltissimo, sotto diversi aspetti, dai ritmi alle richieste. Questo non mi permetteva di essere completamente libero dal punto di vista creativo, non mi consentiva insomma di crescere ulteriormente. Quindi feci un primo passo importante: andarmene dall'hotel e aprire il ristorante in una versione ben più piccola, con solo venti coperti, e con il mio nome sull'insegna. Era il 2012. Posso considerare il periodo tra il 2012 e il 2016 quello in cui ebbi la possibilità di crescere maggiormente, concentrandomi solo ed esclusivamente sulla mia cucina. Non è un caso che proprio in quegli anni ho dato vita ad altre realtà della ristorazione a Valencia.
Oltre alla due stelle, la guida Michelin ha assegnato al suo ristorante il riconoscimento che premia la sostenibilità. Che cosa significa per lei questo termine?
Interpreto il concetto di sostenibilità a 360 gradi. Questo termine si riferisce spesso al prodotto, certo, ma per me è un aspetto che deve riguardare tutta la filiera: produttore, fornitore, team, cliente, creatività. È un lavoro che riguarda tutti. Che senso ha essere maniacalmente attenti al riciclo o al tema del no waste se poi trattiamo male il nostro staff o non retribuiamo a sufficienza chi ci fornisce le materie prime? Che senso ha parlare di lavoro creativo se poi il personale di cucina lavora troppo ed è sempre stanco? Tutto deve andare allo stesso ritmo. Rapido, al massimo delle proprie capacità, ma insieme.
Dal suo arrivo a Valencia nel 2012 ad oggi sono passati dieci anni esatti. Come ha visto cambiare la scena gastronomica cittadina e spagnola in generale?
Certamente sono stati anni di grande fermento. Moltissimi nella ristorazione si ispiravano a El Bulli. Una volta finita quell'esperienza si sono ritrovati tutti spaesati. Chi voleva davvero fare questo lavoro ha dovuto così attraversare alcuni anni di "riposizionamento". Negli ultimi anni la cosa che mi interessa di più di Valencia e della Spagna in generale è che la cucina oggi propone molti punti di vista differenti, il cliente così ha la possibilità di confrontarsi non con una filosofia culinaria ma con cento approcci ai fornelli differenti.
È stato ospite del ristorante Ciani a Lugano. Come ha fatto a portare un po' dell'atmosfera del suo ristorante in Svizzera?
Ho portato gran parte della mia brigata con me e questo è sicuramente stato di grande aiuto, sia per quanto riguarda la cucina che la sala. Ho realizzato un menu piuttosto ampio, composto per metà dai piatti che hanno riscosso negli anni il maggior successo al ristorante e per l'altra metà da ricette attualmente in menu. In ogni portata, in cui non mancano pesce e carne, per me è sempre fondamentale la componente vegetale.