Sergio Motta è il macellaio lombardo che sta facendo riscoprire a molti palati la bontà della carne frollata, riportando in auge una tecnica un tempo diffusissima e oggi quasi dimenticata. Figlio d'arte - nel 1963 il padre Giuseppe apre la prima macelleria a Inzago, tra Milano e Bergamo - Sergio sa bene che per carni davvero di grande qualità: oltre alla frollatura, serve anche una scrupolosa selezione degli esemplari.
«Abbiamo una serie di stalle a Serralunga d'Alba, a Moncalvo e a Portacomaro d'Asti in Piemonte: ci vado ogni domenica sera», e spiega Motta. «Scelgo i miei capi di persona e li porto in pianura per macellarli il lunedì all’alba, quando entra in azione mio fratello Galdino, veterinario. E’ lui a occuparsi di analisi e bolli sanitari, ma soprattutto studia la giusta miscela di farine per i nostri animali. L’alimentazione è tutto, non solo per gli umani».
Certo, partire da una carne selezionata è importante, ma Sergio Motta ha raggiunto la fama perché per primo ha cercato di rieducare il palato dei carnivori. Non solo ha riscoperto la frollatura, ma è stato anche in grado di allungarne i tempi tradizionali: ma cosa è la frollatura?
«E’ il tempo che passa dal momento in cui la bestia è stata macellata a quello in cui la carne viene venduta. In genere, la grande distribuzione lascia trascorrere pochi giorni, al massimo una settimana, nel mio macello invece lascio frollare la carne anche per mesi. Il gusto si intensifica, la carne piemontese riacquista il sapore animale e autentico che stava nascosto tra le fibre e che si esalta con il tempo e la temperatura giusta».
Sergio produce anche salumi. Partendo da maiali e bovini selezionati o allevati direttamente ricava prosciutto crudo, coppa e culatello incaricando l’affinamento a specialisti di Langhirano per il crudo e di Busseto per coppa e culatello. Da lì nasce il prosciutto cotto, diventato ormai un big della sua produzione, realizzato secondo una ricetta segreta, appresa da un vecchio fornitore della macelleria e che prevede la salatura del prosciutto direttamente in vena.
Aprire un ristorante poco distante dal negozio è stato inevitabile: «La gente viene in negozio e chiede tagli aristocratici, quasi tutti appartenenti al quarto posteriore. Ma dell’animale tutto è nobile, dalle guance alla coda. Così ho pensato di aprire un locale dove servire sì la costata, ma anche testina, frattaglie e i nobili bolliti oppure fare lo spiedo in un grande camino d’epoca».
L’ingresso del suo ristorante è affascinante o scioccante: una cella frigorifera a tutta parete in cristallo con appese enormi mezzene di manzi piemontesi e sontuosi prosciutti stagionati sino a cinque anni: lui la chiama "cella dei sogni".
«Il piatto più richiesto? La nostra tartare al coltello», risponde Motta, «servita in tre contenitori trasparenti impilati l'uno sull'altro: la prima al naturale, la seconda con olio e sale e l’ultima con crema d'acciughe, capperi e tuorlo d'uovo».