L’emozione di conquistare la stella Michelin è difficile da descrivere. Simone Breda, bresciano di nascita, è uno dei nuovi ingressi tra le stelle della Guida Michelin 2019 con il suo ristorante Sedicesimo Secolo di Orzinuovi che gestisce con la compagna e maître Liana Genini. Nato a Chiari, ha avuto la fortuna di lavorare fianco a fianco con il Maestro Gualtiero Marchesi, quando cucinava all’Albereta Relais et Chateau di Erbusco. Ai fornelli da quando ha 14 anni, ha conquistato la stella Michelin da vero outsider
Petto d'anatra, rape, ibisco e crema di cipollotti
Quando è nato il suo “istinto di cuoco”?
Da piccolissimo. Si sono accorti tutti fin da subito che avevo un palato particolarmente sensibile. Quando ho deciso di iscrivermi all’alberghiero, il primo sogno era quello di girare il mondo facendo il cuoco. Quindici anni fa non c’era il boom mediatico che c’è oggi, e fare lo chef dava la possibilità di viaggiare anche se avevi pochi soldi in tasca.
Qual è stata la sua formazione professionale?
Ho fatto l’alberghiero a S. Pellegrino, poi ho lavorato in piccoli ristoranti nella bergamasca. A 23 anni è scottata la vera scintilla, volevo qualcosa di più, così mi sono trasferito dal Maestro Gualtiero Marchesi in Albereta.
Quanto tempo è stato in Albereta?
2 anni e mezzo. È stata l’esperienza più formativa in assoluto della mia vita. Stare a fianco del Maestro non è stato solo una scuola di cucina, ma una scuola di vita. Lì ho imparato il corretto comportamento, la postura, il rispetto della gerarchia, oltre a tutte le basi della cucina: per Marchesi, prima dei piatti creativi, era fondamentale che imparassimo a fare un’ottima salsa al pomodoro e un risotto con una mantecatura perfetta. Io venivo da ristoranti dove le cose erano già semilavorate: da Marchesi arrivava la materia prima in purezza e tu dovevi lavorarla fino a farla diventare un piatto. Era la cucina totale, la grande ristorazione.
Coscia d'oca confit, insalata in agrodolce e alga nori
Sono stati anni difficili?
No, perché sono stati bellissimi. Non era sempre facile gestire lo stress e i rapporti gerarchici, ma quando si impara davvero e si può crescere professionalmente, tutto il resto passa in secondo piano. Lavoravo ogni giorno con gioia.
Quali sono gli insegnamenti più importanti che le ha dato il Maestro Marchesi?
Da Marchesi ho imparato la cucina totale. Marchesi ha sempre predicato il rispetto della materia prima e del benessere del cliente. Per lui “cucina totale” significava avere cura di tutto il “percorso del cibo”, da quando veniva lavorato, fino a quando arrivava nello stomaco del cliente. Questo si traduceva, nella pratica, in un alleggerimento dei piatti e dei sapori. Gusti più morbidi e rotondi, pochi elementi nel piatto e tutti riconoscibili.
Quindi l’ingrediente non deve mai perdere il suo gusto specifico.
Esatto. Questo insegnamento è oggi il filo conduttore della mia cucina. Nel piatto Lingua, lattuga, nocciole e salsa ponzu, ad esempio, è un piatto estremamente leggero e dai gusti netti. La nocciola è presente in forma di crema, nocciole cotte in acqua e frullate, senza nient’altro. Stessa cosa per la lattuga, foglie di lattuga sbianchite, raffreddate in acqua e ghiaccio e frullate. Anche qui lattuga in purezza. La lingua viene semplicemente bollita in un brodo aromatico con aceto e alloro e servita tiepida per esaltarne la consistenza morbida. Fin qui ci sono solo elementi semplici, quindi il piatto potrebbe sembrare basico. Per questo aggiungo una componente di arrostitura, così arrostisco lievemente la lingua al cannello per dare in bocca un sentore bruciato. Infine la salsa ponzu dà il tocco finale con il suo gusto acido e dolciastro. Dà verve al piatto e movimento. Questo piatto è pulizia pura ed segue i dettami della “Cucina totale” di Marchesi.
Carpaccio di gamberi rossi, la sua maionese, cavolfiori e clementine
Che ingredienti usa nei suoi piatti?
Non posso dire che la mia cucina sia territoriale, anche se mi piace usare ingredienti che le persone della mia zona trovano familiari. Da noi nel bresciano, ad esempio, è tradizione usare i volatili e gli animali da cortile come l’oca e il gallina e il coniglio. Di solito si mangiano la domenica a casa. E poi ci sono le lumache, che da tradizione vengono trifolate con scalogno prezzemolo aglio e, a volte arricchite col pomodoro. Io le faccio saltate in padella e poi immerse nella panada, una zuppa di pane fatta con un brodo di ginocchia di manzo, alloro e croste di Grana, finito con un tocco di bagnet verd, forte di prezzemolo e acidità, che dà sempre lo sprint finale al piatto.
Quali sono i piatti da non perdere oggi nel suo menu?
Una capasanta con midollo caramellato, pesto di noci al lime e un brodo acido di cipolla rossa, che è armonia degli ingredienti in dissonanza; un’animella con crema di mandorla in purezza, laccata con fondo di vitello e una salsa al tamarindo fortissima, accompagnata da una terra di mandorle molto tostate che dà profondità al gusto.
E poi il branzino arrostito con a fianco un carciofo cotto al barbecue con all’interno un’ostrica in purezza e cedro candito. In accompagnamento, una salsa al burro bianco con riduzione di cedro che viene presentata al cliente in una salsiera con all’interno fumo di foglie di cedro.
Il piatto autunnale per eccellenza?
Il petto d’anatra con sedano rapa, prugne disidratate, osmotizzate e mixate con una riduzione di porto, con fondo d’anatra al ginepro. Davvero un piatto autunnale e invernale per eccellenza.
Risotto al brodo di gallina affumicata, vongole e bietole
Ha un piatto icona?
Il risotto in fumo di fieno. Qui l’aspetto olfattivo è importantissimo. Il piatto arriva in sala in una pentola di rame che contiene il risotto mantecato insieme a fieno secco che sta bruciando. Quando la pentola in sala e si toglie il coperchio davanti al cliente, si rimane avvolti da una piacevole nuvola che si erba e fieno bruciati. Secondo me si mangia prima “con il naso”. Il riso viene versato al momento in un piatto con alla base una crema di melanzane profumata alle foglie di menta. Qui il tocco di acidità del piatto sta nel riso, perché i miei risotti sono sempre mantecati col burro acido.
Il suo cestino del pane mi ha colpito. Ce lo descrive?
Il pane è l’inizio del pasto, non deve mai mancare. Mi piace dare al cliente tante scelte differenti, per soddisfare i gusti di tutti. Al XVI secolo abbiamo 6 panificati: c’è il pane bianco al burro, il pane integrale con semi di girasole, il lavash, una sfoglia a base di acqua, farina, latte e burro molto secca e croccante, il grissino, stirato a mano, lunghissimo e sottile, la focaccia al rosmarino, il pane semintegrale che viene servito al cliente caldo con olio extravergine siciliano.
Foie gras, macadamia e idromele
Qual è il suo dolce più interessante?
Il più interessante è una semplicissima panna cotta con zucca, nocciola e tartufo nero. La zucca, molto matura, viene cotta in forno per concentrare il gusto, poi si frulla per farla diventare una purea. Il piatto si compone così: alla base la panna cotta, poi coulis di zucca, ganache di nocciole, biscotto secco alle nocciole, polvere di semi di zucca e tartufo nero grattugiato. E’ un dolce senza “picchi” gustativi perché, secondo me, il dolce deve essere armonico.
Cosa ha significato per lei ricevere la stella Michelin?
È stato un importante riconoscimento perché per anni abbiamo lavorato a testa bassa e nel silenzio. Non abbiamo mai urlato quello che stavamo facendo, ma ci siamo applicati con modestia e passione alla cucina. La stella è stata uno shock, una vera e propria illuminazione.
Cos’è successo dopo la stella?
È successo il finimondo. Il telefono non smette mai di suonare e le prenotazioni fioccano. Ho intenzione di affrontare questa situazione con la stessa calma di sempre, un passo alla volta e, soprattutto, senza mai uscire dalla cucina.
Perché ama il lavoro?
Perché è un lavoro sempre in movimento che ti obbliga a crescere sempre, non lo cambierei per niente al mondo.
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