Parlare di Hákarl non è mai semplice, perché la descrizione di questo tipico piatto islandese rischia di confondere le idee. Toccherebbe, insomma, assaggiarlo, per farsi un’idea precisa di cosa il nostro palato può e non può percepire. E perché iniziare la sua descrizione in modo così accorto e diplomatico? Beh, perché pensare di mangiare dello squalo non è cosa per tutti. Se poi si tratta di pensare di mangiare squalo che puzza di urina, è chiaro che il pubblico interessato diminuisce drasticamente. Ma… c’è un ma: se si riesce a superare l’impatto iniziale, magari tappandosi il naso se serve, potremmo scoprire un sapore particolare ma che qualcuno trova invitante.
La storia dell'Hákarl
La storia dell’Hákarl non è molto chiara, anche se la si fa risalire all’epoca vichinga. Fino ad allora, lo squalo era considerato solo un nemico, o al più una fonte di grasso da utilizzare, però, come lubrificante.sua carne, infatti, è velenosa e mangiarla equivale, nel migliore dei casi, a intossicarsi per diversi giorni. Questo perché lo squalo, fisiologicamente, è privo di reni e quindi espelle l’urina da tutto il corpo. Insomma, la sua carne ne è intrisa: un concentrato di urea e ossido trimetilamminico davvero poco invitante.
Si dice che attorno al 1600, in un fiordo a nord-ovest dell’Islanda, sulla riva fu rinvenuta la carcassa di un grosso esemplare di squalo. Anziché lasciarlo marcire, qualcuno pensò bene di issarlo su delle corde e farlo essiccare. E quando, a causa della gran fame, venne deciso di consumarlo, ci si rese conto che non solo quella carne era commestibile, ma tutto sommato era anche molto saporita. Si tratta di una leggenda?
Per una volta pare di no, perché questo è esattamente il modo in cui si è soliti preparare l’Hákarl: issando in verticale uno squalo e lasciando che sole e vento lo essicchino. Questo per farla breve, chiaro, perché in realtà la lavorazione, affinanata nel corso dei secoli, è molto più lunga è complessa.
Come si fa l'Hákarl
Dovete infatti considerare che la carne di squalo, fresca, è molto fibrosa, dura, puzzolente e francamente schifosa. Per questo lo squalo appena pescato viene privato di testa e interiora, che sono gli apparati che si deteriorano prima, e sotterrato in una fossa scavata in mezzo alla sabbia. Poi il tutto viene coperto da grossi massi che, di fatto, funzionano da pressa. In questo modo i fluidi più nauseabondi sono assorbiti dal terreno, per un periodo che va dai quattro ai sei mesi.
A questo punto la carne è tagliata a strisce che sono poi appese, appunto, a essiccare per altri tre o quattro mesi. Quando pronto, l’Hákarl viene servito, privato della caratteristica crosta, a cubetti. Mangiati così come sono, per i consumatori abitudinari, oppure serviti in un bicchiere ricoperto di Brennivín, l’acquavite islandese. In questo modo, l’odore viene mitigato e l’approccio alla pietanza è un po’ più morbida.
Vi sarete fatti l’idea che, tutto sommato, mangiare l’Hákarl sia più una sfida che un piacere, e in effetti all’ignaro turista viene proposto in questa accezione. Tuttavia c’è chi, dopo averlo assaggiato, e chi vi scrive è tra questi, descrive il sapore come quello di un formaggio dalle note organolettiche molto intense, come per esempio il Gorgonzola. De gustibus non est disputandum, dicevano i latini, no? Un segreto? Per assaggiare questa delikatessen accertatevi di tenere ben turato il naso, in modo da lasciare lavorare solo le papille gustative, che non saranno influenzate dall’odore forte e nauseabondo.