I suoi piatti sono autentiche poesie che narrano di paesaggi e visioni, di forme e colori, attraverso il cibo e le immagini. Classe 1987, Stefano Carbone è molto conosciuto per la sua personalissima food art: basta collegarsi alla sua pagina Instagram, seguita da oltre 30 mila persone, per osservare come, nelle creazioni che propone, il confine tra arte e cucina sia davvero sottile.
Originario di Cerignola (Foggia), lo chef ha viaggiato in tutta Europa, con importanti esperienze stellate, nella brigata di Alain Ducasse a Le Meurice e all’Alkimia di Barcellona, per citarne alcune. Tornato in Italia, ha iniziato a dedicarsi soprattutto alla consulenza. E ora annuncia una novità: l’intenzione di aprire un ristorante tutto suo a Milano, dove poter esprimere al meglio le sue capacità. Come è arrivato a creare piatti di grande impatto estetico e quali sono i suoi progetti futuri?
Ecco che cosa ha raccontato Stefano Carbone a Fine Dining Lovers.
Che cos’è per lei la food art, come la definirebbe?
La food art è rappresentare delle immagini attraverso il cibo, non è semplicemente schizzare dei colori sul piatto: è lasciare un ricordo a una persona. Io, per esempio, posso decidere di rappresentare un gioco, la natura, la flora o la fauna attraverso un piatto, ma ho anche dato vita a tante creazioni ispirate a film o a mood diversi. Per me questa è la vera teoria di un artista: quando stiamo guardando un quadro, o un piatto, osserviamo un’immagine.
Qual è stato il suo percorso formativo: come è nato l’amore per l’arte?
L’amore per l’arte è nato da una constatazione: ho sempre sognato di saper disegnare, ma non ho mai avuto questo dono. Così, ho messo insieme il mio amore per la cucina e il disegno. Sono da sempre un appassionato di arte: vado alle mostre, leggo libri a tema, ma ho dovuto trovare il modo per dare al mondo il mio contributo di arte, e l’ho fatto con il cibo. Ho frequentato l’istituto alberghiero a Margherita di Savoia, nel frattempo ho avuto tante esperienze in giro per l’Europa. Sono tornato in Italia 5-6 anni fa, con l’idea di restare: ho cominciato a fare tante collaborazioni con le aziende, poi sono stato in Toscana, dove ho lavorato a Villa La Palagina e per la catena Belmond Hotel. Ora, invece, sto studiando l'apertura di un ristorante tutto mio a Milano.
Quanta arte c’è nella cucina e quanto la cucina è arte?
La cucina in sé penso che sia una forma d’arte, poi sta a noi cuochi renderla tale. La cucina è un’arte che non deve rimanere nel banale: per questo il connubio tra arte e cucina può essere messo in pratica sostanzialmente da chi è un artista dentro, insomma da chi ha sangue d’artista che scorre nelle vene. Tutti ormai sanno impiattare secondo le regole di base, ma in pochi sanno realizzare un’opera d'arte con il food. Il cibo e i prodotti sono un dono: sta a noi chef creare un’opera d’arte con gli ingredienti.
Come crea un piatto, qual è il suo modus operandi?
Quando ho gli ingredienti davanti e il piatto bianco, proprio come una tela, creo a ruota libera: è come se le mani agissero da sole. C’è un abuso della parola artista, ma credo che in generale si possano contare sulle dita di una mano i veri artisti. Quando scopro un elemento nuovo o una tecnica nuova, studio giorni per farla mia e migliorarla. A volte è successo che creassi piatti basati su un unico ingrediente, cui ho dato mille forme. Mi segno gli ingredienti e l’immagine che voglio rappresentare, ma creo al momento, gioco su un’improvvisazione che a dire il vero mi riesce sempre.
Quali sono le regole da seguire per un impiattamento creativo e originale?
Sicuramente giocare molto sulla modulistica di come si mette in cibo nel piatto: ci deve essere una sorta di veduta panoramica, bisogna evitare impiattamenti stretti, ammassati, con gli elementi non ben visibili. Quando io avevo 15-16 anni, tutti mi dicevano “ma dove pensi di andare con questi piatti, credi di doverli incorniciare?”. Non sempre venivano apprezzati i miei impiattamenti, ma penso sia importante puntare sulla creatività. Questo è uno dei motivi per cui voglio lanciarmi in nuovi progetti miei, in cui nessuno porrà freno alla mia creatività. Io metto la mia creatività a servizio della cucina, senza creatività il mondo si ferma, è fondamentale in tutti i settori.

Qual è l’errore estetico più ricorrente nei piatti secondo lei?
Prima di mettere la forchetta nel piatto, i miei clienti devono scattare una foto. Poi, in un secondo momento, si dedicano all'assaggio e possono chiedermi come l’ho fatto. Un po' come quando vai a vedere un museo e rimani colpito per l’impatto di un’opera d'arte, insomma. L’errore ricorrente credo sia lo "scopiazzare" dagli altri: è importante crearsi un’identità propria. Io, quando studio un piatto, lo faccio pensando che l’idea deve rimanere mia.
Nelle sue creazioni ci sono molti giochi di colore: come li realizza?
Ho studiato per anni le cromie dei fiori e dei loro petali, la clorofilla: proprio come farebbe un artista, che mischia le tempere per ottenere le sfumature diverse, così in cucina un ortaggio addizionato a un altro ortaggio può dare un colore fantastico, senza usare coloranti. Io non uso quasi mai coloranti, ma li ottengo con tecniche ed estrattori, con le diverse temperature e il passaggio da caldo a freddo, per esempio.
Ci anticipa qualcosa sui suoi prossimi progetti?
Per la fine di quest’anno dovrei aprire il mio ristorante: il primo che apro come chef e patron. Già dal nome si capisce la direzione del ristorante, si chiamerà Le Vernissage e sarà dedicato esclusivamente alla food art. Lo aprirò con la socia Michela Angioni, imprenditrice food che gestisce già Pesca.Mi. Ho intenzione di creare una specie di apericena di un’ora e mezza in cui tutto verrà strutturato a tema d’arte, con piccole entrée ispirate alle immagini, finger food molecolari o creazioni ispirate alla pop art; giocheremo molto sulla fantasia dei crudi di mare abbinati alla mia cucina. Vorrei dare qualcosa di diverso all’Italia, anche perché nel nostro Paese la food art è poco conosciuta.
Ma perché secondo lei in Italia la food art si è sviluppata meno rispetto ad altri Paesi?
Me lo chiedo anch’io da anni, nonostante siamo un Paese ricco d’arte, spesso l’arte non viene valorizzata abbastanza, che si tratti di musica o forme d'espressione visiva in generale. Andare a toccare un qualcosa di "sacro" come il cibo e metterlo in connubio con l’arte, forse, è davvero ardito.