Prima dell’avvento del ghiaccio e degli shaker, il throwing era utilizzato nei bar per miscelare i cocktail, mentre le popolazioni asiatiche lo impiegavano (facendolo tuttora) per raffreddare il tè caldo. Nella cultura indiana, infatti, questa particolare tecnica contribuisce a miscelare creando una maggiore consistenza e schiumosità. I “Chai Wallah”, figure con le quali si identificano i venditori di tè, si sono specializzati in “manovre” scenografiche per attirare sempre più clientela lungo le strade della fascia sud-orientale dell’Asia.
Il throwing, che letteralmente significa “mandare qualcosa in aria con forza, attraverso il movimento del braccio”, è sempre più utilizzato dai bartender in quanto è una tecnica estremamente scenica e spettacolare che prevede il versamento del drink da un “tin A” a un “tin B”, attraverso ripetuti passaggi aerei, creando un effetto “a cascata”. Infatti, ponendo i due contenitori ad una certa distanza l’uno dall’altro la caduta per gravità del liquido, e il suo contatto con il contenitore finale, generano una “rottura” del liquido stesso.
Il motivo per il quale si dovrebbe impiegare questa tecnica è l’alterazione della consistenza o texture, ma attenzione a non paragonare il throwing alla shakerata. Con la prima, infatti, un barman non riuscirà mai a montare correttamente l’albume di un uovo o la panna, ma realizzerà sicuramente un Bloody Mary meno piatto e più morbido, in quanto il succo di pomodoro ha la capacità di formare delle piccole bollicine d’aria.